Libri
«Il tempo è un fiume che lava via il mondo»
“La promessa” di Damon Galgut
di Alberto Paolo Palumbo / 2 febbraio
In una sua conferenza del 1987 a Città del Capo dal titolo The Novel Today, pubblicata l’estate dell’anno successivo nel sesto numero del periodico Upstream, il Premio Nobel per la Letteratura J.M. Coetzee affrontò il tema del rapporto fra il romanzo e la storia dichiarando quanto segue:
«In un’epoca di intensa pressione ideologica come il presente, quando lo spazio in cui il romanzo e la storia normalmente coesistono come due mucche nello stesso pascolo, ognuno per conto proprio, è ridotto a nulla, il romanzo, secondo me, ha solo due possibilità: fare da comprimario o da rivale».*
Secondo l’autore sudafricano, il romanzo non deve sottostare alle categorie ideologiche della storia, ma nemmeno contrapporsi a essa per poi falsificarla. Essendo la storia e le sue categorie, prosegue Coetzee, «un certo tipo di struttura posta sulla realtà» in cui prevale sempre il punto di vista del vincitore, il romanzo deve semplicemente fornire gli strumenti per permettere di avere uno sguardo autonomo e indipendente sugli avvenimenti storici che osserva, presentando una moltitudine di sguardi e di categorie.
Questa premessa è importante per comprendere al meglio la natura della letteratura sudafricana. Fra i tanti autori sudafricani che attraverso i propri romanzi intessono un dialogo con la storia del proprio paese vi è Damon Galgut, originario di Pretoria e vincitore dell’ultima edizione del Booker Prize con La promessa (Edizioni e/o, 2021) – è il terzo scrittore sudafricano a riuscirsi, dopo Coetzee e Nadine Gordimer. I giudici del premio hanno definito il romanzo di Galgut «una testimonianza potente e inequivocabile della storia del Sudafrica e dell’umanità stessa che può essere riassumibile nella domanda: esiste una vera giustizia in questo mondo?»
La promessa narra quasi quarant’anni di storia sudafricana attraverso il declino degli Swart, una famiglia di ricchi proprietari terrieri afrikaner originari di Pretoria, composta dai genitori Rachel e Manie e dai figli Anton, Astrid e Amor. La storia dei protagonisti ruota attorno a una promessa che Rachel fa a Salome, la governante africana, in punto di morte: donarle casa Lombard, l’abitazione accanto alla fattoria degli Swart dove la donna e suo figlio Lukas hanno avuto il permesso di restare in quanto lavoratori della proprietà, più il terreno attorno a essa. Questa promessa, però, è da intendersi anche in senso più ampio, poiché riferita alla promessa di pace e democrazia mai del tutto realizzata da parte di un’intera generazione di sudafricani, quella del postapartheid, che non si rivelerà tanto diversa da quella violenta, compromessa e corrotta del precedente regime segregazionista.
Il romanzo di Galgut procede di pari passo con la storia del Sudafrica e copre un arco temporale che va dal 1986 fino al 2018. È suddiviso in quattro parti, ciascuna scandita dalla morte di uno dei membri della famiglia Swart. Fra una parte e l’altra si passano in rassegna diversi avvenimenti storici che hanno attraversato il Paese arcobaleno: lo stato di emergenza dichiarato nel 1986 da P.W. Botha per contrastare i movimenti di rivolta delle township guidati dall’African National Congress e dal Pan-African Congress; Nelson Mandela e il primo governo democratico del postapartheid, con riferimento alla storica partita della finale della Coppa del mondo di rugby fra gli All Blacks neozelandesi e gli Springboks sudafricani; Thabo Mbeki e l’epidemia di HIV, verso cui l’allora presidente del Sudafrica tenne un atteggiamento negazionista; le dimissioni di Jacob Zuma, primo presidente di etnia zulu, a seguito di accuse di corruzione, fra cui lo scandalo Gupta, nota famiglia di imprenditori indiani residenti in Sudafrica accusati di influenzare le scelte del governo.
Damon Galgut osserva la Storia con sguardo distaccato e autonomo, assumendo un atteggiamento ironico verso ciò che racconta e adottando una narrazione che passa dalla prima alla seconda e alla terza persona, in uno stile di scrittura molto complesso di deriva modernista. Per questo motivo Galgut è stato accostato a scrittori come Virginia Woolf, James Joyce e William Faulkner. È proprio verso quest’ultimo che l’autore di Pretoria nutre un grande debito. Leggendo La promessa, infatti, non può non saltare all’occhio una somiglianza strutturale e tematica con L’urlo e il furore. Come Faulkner raccontava il decadimento della famiglia Compson per narrare quello del Sud degli Stati Uniti con una prosa pregna di monologhi interiori, così l’autore sudafricano raffigura, attraverso la storia della famiglia Swart, il disfacimento della vecchia società bianca sudafricana, e al contempo l’occasione persa dal paese nell’attuare un cambiamento autentico:
«Perché non c’è niente di insolito o straordinario nella famiglia Swart, eh no, assomigliano alla famiglia della fattoria accanto e di quella ancora dopo, sono solo un normale gruppo di sudafricani bianchi, e se non ci credi allora sentici parlare. Le nostre voci non sono diverse dalle altre, hanno lo stesso suono e raccontano le stesse storie, con un accento che sembra calpestato, tutte le consonanti decapitate e le vocali bruciate. C’è qualcosa di arrugginito, macchiato di pioggia e ammaccato nell’anima, e traspare dalla voce».
Non è un caso, dunque, che Galgut incentri tutto il discorso sulla proprietà della famiglia Swart. Raccontare il disfacimento di una famiglia e allo stesso tempo l’evoluzione sociale di un paese attraverso il decadimento della proprietà è un espediente che già Thomas Mann aveva usato nel suo romanzo I Buddenbrook. Se il Premio Nobel tedesco voleva ritrarre il fallimento della vecchia borghesia mercantile di Lubecca, Galgut vuole raffigurare quello degli afrikaner, presentando fin da subito il loro simbolo, ovvero la terra, in termini di inutilità:
«Eppure, pensa tannie Marina, è nostra. Non guardare la casa, pensa alla terra. Un terreno inutile, pieno di sassi, non ci puoi fare niente. Ma appartiene alla nostra famiglia, a nessun altro, ed è una cosa che dà potere».
La fattoria degli Swart situata nel veld rappresenta il vecchio dominio degli antenati dei voortrekker, pionieri di origine prevalentemente olandese e belga – quelli che fino all’arrivo degli inglesi saranno conosciuti come boeri – che presero possesso delle terre in quelle che oggi sono le province di Free State, Transvaal e Gauteng. La fattoria, che ci viene mostrata nella sua graduale rovina, rappresenta l’evoluzione storica del Sudafrica, che da paese razzista, segregazionista e corrotto si avvia verso la democrazia.
Come però gli Swart trovano difficile adempiere alla promessa di donare casa Lombard a Salome, anche il Paese arcobaleno non riesce a mantenere la promessa di un vero e proprio cambiamento pacifico prospettatosi con la fine dell’apartheid. Un esempio di ciò è la delusione di Desirée, la moglie di Anton, nei confronti del paese:
«A volte è il Sudafrica a deluderla. Chi avrebbe potuto prevedere che suo padre, che tutti rispettavano e temevano, sarebbe dovuto comparire davanti alla Commissione per la verità e la riconciliazione e ammettere di avere fatto quelle cose orribili ma necessarie? Il problema di questo paese, secondo lei, è che alcune persone non riescono proprio a liberarsi del passato».
La promessa fatta dalla famiglia Swart a Salome è lunga trent’anni, e si riduce a «tre stanze incasinate con il tetto rotto» – il problema della restituzione delle terre alla popolazione africana, d’altronde, resta ancora un’ingiustizia irrisolta; la promessa di riconciliazione fra la popolazione afrikaner e quella nera del Sudafrica, invece, si rivela essere «una di quelle fusioni strane e semplici che tengono insieme questo paese. A volte solo a stento», con cui si cerca di rimediare ai torti della Storia senza mai riuscirci veramente. Del resto, come afferma il narratore, «aspettare, resistere, una vecchia soluzione sudafricana»: resistere alla violenza aspettando la pace e il cambiamento per tornare, però, al punto di partenza. Tuttavia, Galgut crede nell’idea che «il tempo è un fiume che lava via il mondo», che «altri rami riempiranno lo spazio. Altre storie si scriveranno sulle tue, cancellando ogni parola»: sperando che, quando sarà il momento, qualcuno realizzi queste promesse.
* La traduzione del testo di J.M. Coetzee è a cura di Alberto Paolo Palumbo.