Cinema
Prima della politica
Su “Handia” e i Paesi baschi
di Giacomo Sauro / 10 giugno
Handia (che vuol dire ‘grande’ e si legge andìa) è un film integralmente girato in euskera, la lingua basca, e racconta la storia reale di Mikel Joakin Eleizegi Arteaga, un uomo nato nel XIX secolo ad Altzo, un piccolo villaggio dell’entroterra basco-spagnolo, e affetto da una rara forma di gigantismo. La brochure della pro loco di Altzo presenta con queste parole questo personaggio così importante per la comunità: «In tutto il mondo è conosciuto come il Gigante Eleizegi, nei Paesi baschi come il Gigante di Altzo e ad Altzo come il Nostro Gigante».
Nel 2017 la pellicola, diretta da Aitor Arregi e Jon Garaño, co-autori anche della sceneggiatura, viene presentata al 65° Festival internazionale del cinema di San Sebastián (Zinemaldia, per chi se ne intende). Se nell’occasione il film vince il Premio Speciale della Giuria, l’anno successivo si porta a casa ben 10 premi Goya, il massimo riconoscimento cinematografico spagnolo, tra cui miglior attore esordiente (Eneko Sagardoy) e miglior sceneggiatura originale. Vale solo come aneddoto, ma nella storia di questi premi hanno fatto meglio solo ¡Ay Carmela! di Carlos Saura (1990, 13 premi) e Mare dentro di Alejandro Amenábar (2005, 14 premi).
Per essere un film parlato per il 95% in basco, e provenire quindi da una nicchia all’interno del panorama cinematografico spagnolo, Handia ha potuto contare su un budget di 3,5 milioni di euro, una cifra non indifferente in termini assoluti, anche se forse ridotta se si considera la storia raccontata e gli effetti necessari. Arregi e Garaño hanno perciò portato in scena una pellicola sobria ma mai sciatta che sviluppa i suoi temi coinvolgendo emotivamente il pubblico. Sebbene sia uscita cinque anni fa, la platea cinefila italiana lo può recuperare oggi sul catalogo di Netflix e vivere la rara esperienza di guardare un film in euskera (non c’è il doppiaggio in italiano).
Oltre a valere la visione, Handia offre anche uno sguardo inedito su alcuni aspetti caratteristici della società basca prima del dirompente avvento di Sabino Arana. Arana tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo fonderà il Partido Nacionalista Vasco e soprattutto teorizzerà il nazionalismo basco, ossia l’unica chiave di lettura che da quel momento in avanti, e ancora oggi, dominerà il racconto dei Paesi baschi fuori dai confini. In questo breve percorso nella Storia e nelle storie di Handia saremo accompagnati dalle riflessioni di Joseba Usabiaga (che nel film interpreta Martín, il fratello del gigante), con cui abbiamo recentemente parlato.
Già i primi minuti ci catapultano all’interno della Storia. Prima di avvisarci che quelli che seguono sono eventi reali, i titoli di testa riferiscono che la fine del XVIII e tutto il XIX secolo in Europa sono segnati da conflitti che hanno come oggetto le tensioni tra il vecchio e il nuovo regime. È il 1836 e in piena notte l’esercito carlista si presenta alla fattoria in mezzo ai monti dove vivono e lavorano, insieme al resto della famiglia, i fratelli Martín (Joseba Usabiaga) e Joaquín (Eneko Sagardoy). I carlisti hanno bisogno di uomini e Martín è il figlio che il padre decide di spedire in guerra, tenendo Joaquín a lavorare alla fattoria.
Lasciamo per un momento Martín che non si capacita dell’ingiustizia che sta subendo e approfondiamo una questione fondamentale per capire questa porzione di terra tra il golfo di Biscaglia e il fiume Ebro. In Italia già facciamo fatica a raccapezzarci con gli eventi del Risorgimento per avventurarci oltre, ma il movimento carlista, oltre ad aver dato origine a due guerre civili (1833-39 e 1872-76), contiene alcune delle radici ideologiche e delle istanze del nazionalismo basco che verrà. Il carlismo, all’epoca molto presente nei territori che oggi compongono la parte spagnola dei Paesi baschi (Navarra e País Vasco), rappresenta la società tradizionale dell’Antico Regime, profondamente cattolica, contraria alla modernizzazione e al liberalismo, ma soprattutto sostenitrice dell’autonomia amministrativa incarnata da un sistema codificato di norme giuridiche: i fueros.
Di origine medievale, i fueros con il tempo vengono formalizzati fino a diventare il telaio giuridico-amministrativo su cui si reggeranno i territori della monarchia spagnola durante l’Antico Regime. I fueros conferivano alla popolazione basca autonomia in ambito militare, fiscale e doganale, diritti di disobbedienza ai decreti reali e privilegi solitamente riservati ai nobili. Verso la fine del XIX secolo la difesa dei fueros si estende anche a settori liberali e democratici, configurandosi poi come uno dei principi di un crescente movimento autonomista e regionalista. È importante sapere che l’eredità delle norme forali garantisce ancora oggi alle regioni della Navarra e del País Vasco un’ampia autonomia amministrativa ed economica, seppur con alcune differenze tra i due territori.
Dicevamo di un Martín disorientato, che si trova da un giorno all’altro a combattere sui monti e nelle valli al fianco di altri baschi e navarresi di estrazione rurale, con il basco rosso in testa (il segno distintivo dei carlisti) e il fucile con la baionetta (altra invenzione basca) nelle mani. Gli occhi malinconici di Usabiaga descrivono un ragazzo che si sente tradito, esiliato dagli affetti e dal mondo in cui aveva sempre vissuto; un ragazzo che in fondo è anche un inetto e che in uno scontro a fuoco viene ferito e perde l’uso del braccio destro. La guerra finisce e Martín torna a casa, consapevole che non potendo contribuire alle attività della fattoria finirà per essere un peso in una famiglia che già sfama con difficoltà le tante bocche presenti. Quando però entra in chiesa per riabbracciare dopo tanto tempo gli abitanti del suo mondo che erano lì riuniti, si accorge che suo fratello Joaquín è diventato un gigante.
«Io sono di Tolosa, un paese a tre chilometri da Altzo, il villaggio in cui è ambientata la vicenda», ci spiega Joseba Usabiaga. «Qui nella zona la storia del gigante è molto conosciuta, perché sin da piccoli ce la raccontano a scuola o in famiglia, mentre per esempio Eneko Sagardoy [che interpreta Joaquín], che è di Durango, un paese della provincia di Bizkaia, non la conosceva».
Usabiaga ci parla poi della pressione speciale che ha sentito durante questo progetto: «Per me è stato un onore far parte di questa produzione e avere avuto modo di far conoscere questa storia sia a quelle parti dei Paesi baschi che non ne avevano mai sentito parlare sia al resto del mondo. È però vero che, a differenza magari di altri lavori, questa volta avevo veramente a cuore il risultato finale, sia della mia interpretazione personale sia del film in generale. Per fortuna le persone l’hanno visto ed è andato tutto bene».
Nonostante la bizzarra presenza di un ragazzo alto quasi due metri e mezzo, il film ci mostra alcune immagini di vita familiare. Prendiamo spunto per segnalare altri due elementi tipici della società basca moderna, e in parte anche contemporanea. Il primo è la fede cattolica, un elemento che accomuna peraltro le province basche al resto dei territori spagnoli. Nel saggio Miseria e splendore della traduzione, Ortega y Gasset sosteneva che l’euskera, in assenza di un segno per indicare Dio, dovette ricorrere a quello che significava ‘Signore di ciò che sta in alto’, Jaungoikua, e che a causa di questa mancanza pensare Dio per i baschi costasse un grande sforzo e che quindi ci misero tanto a convertirsi al cristianesimo. Valida o meno questa suggestione, la religione cattolica è radicata nella società basca da tanti secoli, al punto che i rapporti tra il clero regionale e il nazionalismo radicale nella seconda metà del Novecento sono stati a volte ambigui.
Il secondo elemento è quello che nei sottotitoli italiani appare come ‘fattoria’ ma che in basco è il baserri, la dimora rurale tipica della zona. Il baserri era il nucleo attorno al quale nel passato si sviluppava la società basca, che curava le proprie terre e il proprio stile di vita al ritmo delle stagioni. Un contesto in cui il cristianesimo si era infatti innestato nella forma più naturale possibile. Come per tanti nuclei dell’epoca, la sorte e l’andamento del baserri degli Eleizegi avrà anche una parte nella vicenda raccontata in Handia, perché è determinante per la sussistenza della famiglia.
«L’attaccamento speciale alla famiglia e alla casa familiare, al baserri, è senza dubbio una peculiarità basca. È il luogo in cui ci si aiuta per mandare avanti il lavoro e assicurare una stabilità emozionale ed economica», commenta Usabiaga.
Invalido e senza arte né parte, per sfuggire alla povertà Martín pensa all’idea di esporre il fratello gigante in giro per i paesi. Nel farlo coinvolge l’imprenditore Arzadun (Iñigo Aranburu), che aveva conosciuto qualche tempo prima a Tolosa: una sorta di versione basca del circense Barnum.
In quell’occasione abbiamo anche un breve assaggio di un’ultima diapositiva sulle tradizioni popolari basche. A Tolosa infatti Arzadun era impegnato a gestire le scommesse intorno a quelli che vengono definiti herri kirolak, sport rurali che nascono dalle attività fisiche fondamentali nel baserri (per esempio trascinamento pietre, sollevamento carri o taglio dei tronchi). Basati sulle sfide tra i partecipanti e sulle scommesse del pubblico, questi sport esistono ancora oggi. Sembra assurdo ma, per citare un esempio molto calzante, solo pochi mesi fa una piazza di Tolosa si è riempita di svariate centinaia di persone giunte per assistere alla competizione tra due accettatori di tronchi “professionisti” (e sui cui probabilmente avevano anche scommesso).
È a questo punto che si manifesta la dicotomia che il film suggerisce sin dalle prime scene, quella tra una società immutabile scandita dalle abitudini e un cosmo in trasformazione. I fratelli lasciano il piccolo mondo contadino per calcare il palcoscenico del grande mondo fuori dalle valli e dalle montagne che avevano sempre costituito i loro confini esistenziali. La campagna carlista che si contrappone alla città liberista, potremmo dire.
Escono per andare incontro a soldi ed emancipazione, assaporando il brivido dell’ignoto e della scoperta ma anche il senso di inadeguatezza e umiliazione (a un certo punto Joaquín sarà costretto a spogliarsi di fronte alla regina Isabella II curiosa di saper se è vero quel che si dice intorno ai giganti). Il primo grande scoglio che si trovano davanti è però quello della lingua: se da una parte Joaquín non capisce altro che il basco, Martín si accorge presto che deve almeno migliorare il suo spagnolo molto rudimentale se vuole sperare di guadagnare un suo posto fuori da casa.
La questione della lingua non è stata secondaria neanche dal punto di vista artistico nel progetto Handia. «Ho la fortuna di parlare bene sia l’euskera sia lo spagnolo, e in effetti non ci sono tanti attori baschi che conoscono molto bene l’euskera, quindi ho la possibilità di avere accesso ad alcuni ruoli con un po’ più di facilità», spiega Usabiaga. «Non trovo molte differenze tra studiare un copione in basco o in spagnolo, ma se posso scegliere preferisco recitare in euskera per contribuire nel mio piccolo alla cultura basca ed essere riconosciuto nella mia terra».
Le stupende prove attoriali di Sagardoy e Usabiaga danno vita sullo schermo a un intimo rapporto tra fratelli, uniti nell’amore che provano l’uno per l’altro ma divisi nella visione della vita, nell’equilibrio in continua negoziazione tra l’attaccamento alle proprie radici e la voglia di abbracciare il mondo esterno.
Si sofferma sull’incastro tra i due fratelli anche Usabiaga: «Credo che Martín e Joaquín esprimano chiaramente la lotta interna, che ci accomuna tutti, tra la voglia di aprirsi al mondo e il legame con le proprie origini. Più volte nel film sono mostrati come complementari: a un certo punto il gigante dice che sente le proprie ossa muoversi e crescere dentro di sé, sebbene sia quello dei due che più vorrebbe rimanere a casa. D’altra parte Martín, che vuole uscire, andare in America e scoprire nuove cose, ha un braccio immobile che gli impedisce di fare quello che vorrebbe. Sono però anche espressione di contraddizioni: se avesse avuto la possibilità forse Martín non sarebbe comunque partito per l’America, mentre Joaquín è subito disposto a mettere in vendita il suo corpo in giro pur di aiutare economicamente la famiglia».
Seduti a un tavolo nel baserri, in un momento di magra degli affari, l’impresario Arzadun dice a Martín di concentrarsi sulla fattoria, perché la capacità di adattarsi è la qualità migliore che possieda l’essere umano. «Io credo il contrario: che sia la nostra più grande miseria», risponde Martín con lo sguardo perso a mezz’aria.
La storia che Handia ci racconta ha spesso l’atmosfera eterea di una favola. Contribuisce una musica sospesa, a cui partecipa anche la txalaparta, lo strumento a percussione tipico dei Paesi baschi che si suona in coppia, le cui origini si perdono nei pascoli verdeggianti. Come una favola il film è diviso in capitoli, e come in una favola compare anche un animale dai comportamenti “umani”.
Per concludere, chiediamo a Joseba Usabiaga di aiutarci a capire i Paesi baschi in poche parole.
«Sicuramente di partenza non siamo così aperti come potrebbero esserlo gli italiani, per esempio. Dobbiamo superare una diffidenza iniziale, ma poi trattiamo il prossimo come se fosse uno di casa. Siamo anche un popolo lavoratore, con un’etica del lavoro molto sviluppata. E poi basta, direi. Alla fine neanche siamo così diversi dal resto del mondo».
(Handia di Aitor Arregi e Jon Garaño, drammatico/storico, 2017, 114’)
LA CRITICA - VOTO 7,5/10
Recuperando Handia dal catalogo Netflix possiamo lasciarci coinvolgere dalla storia poetica ma vera di un gigante nei Paesi baschi di metà Ottocento e catturare una parte dello spirito che ancora anima quei luoghi.