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Libri

Un sogno misterioso e interminabile

“Fra le tue dita gelate” di Francisco Tario

di Martin Hofer / 27 giugno

Tra le molte bizzarrie che possiamo pescare dalla biografia di Francisco Tario (Città del Messico, 1911 – Madrid, 1977), la più singolare è probabilmente legata alla sua esperienza di calciatore professionista negli anni Trenta, periodo durante il quale difese i pali del Club Asturias.

Pseudonimo di Francisco Peláez, Tario è stato una delle voci più nitide della letteratura fantastica messicana, ma, nonostante ciò, in vita non ha mai raggiunto la piena consacrazione, forse a causa di quella che il critico Alejandro Toledo ha definito la sua «vocazione di fantasma».

E proprio di fantasmi – o, per meglio dire, di presenze – è popolata la sua ultima opera, Una violeta de más, che l’editore Safarà propone al pubblico italiano con il titolo Fra le tue dita gelate (2022, traduzione di Raul Schenardi).

Il 1968, anno della sua prima pubblicazione con la casa editrice spagnola Joaquín Mortiz, è un momento particolarmente difficile per l’autore, reduce dalla perdita della moglie Carmen Farell, a cui la raccolta è dedicata.

Presenze, si diceva, più che fantasmi, perché il fantasma è per natura una figura presente ma non esistente, mentre i personaggi di questi racconti sono perlopiù figure assenti ma esistenti, entità fantastiche eppure tangibili, persone disperse la cui scomparsa abita i vuoti di chi rimane. Non a caso in “Un orto di fronte al mare”, alla notizia del naufragio del padre marinaio, il figlio commenta: «Ebbi l’impressione che quell’uomo cominciasse a esistere veramente».

Differenti per temi, ambientazioni e tono – si va dai classici stilemi della letteratura dell’orrore a episodi quasi parodistici del genere – questi sedici racconti conservano come trait d’union un universo narrativo all’interno del quale si confondono realtà e soprannaturale, quest’ultimo da intendersi, a seconda dei casi, come esperienza onirica o ultraterrena. I personaggi di Tario sembrano agire nell’orizzonte ovattato di una fase REM perenne e inconsapevole che legittima i più strambi avvenimenti.

Nel primo capitolo della raccolta, “Lo uistitì”, un protagonista solitario accoglie senza troppo clamore l’arrivo di un minuscolo ospite espulso dal rubinetto del lavandino, e così la notizia di essere gravido. È forse questo il racconto in cui Tario riesce a esprimere il meglio del suo campionario di misteri, avvicinandosi per ambiguità e misura della prosa a un altro grande esempio di letteratura fantastica messicana: “Mosés e Gaspar” di Amparo Dávila (In L’ospite e altri racconti, Safarà, 2020). Sulla falsariga di Dávila, è palese la volontà dell’autore di oscurare i passaggi più importanti del racconto per generare in chi legge un sentimento di angoscia e di familiare estraneità.

Allo stesso modo, anche i personaggi, anziché respingere l’ignoto, sembrano volerlo accogliere, forse a causa della loro incapacità di stabilire rapporti e legami con il mondo “là fuori”. Sono infatti individui solitari – uomini in fase di trapasso, famiglie emarginate, bambini dalla testa enorme – i protagonisti di queste storie. La loro inadeguatezza li porta a distaccarsi dalla realtà e  familiarizzare con la figura sinistra, a volte un doppio che agisce nell’universo del sogno, altre volte un essere ibrido, tra umano e non umano, che incarna in maniera esemplare l’elemento perturbante (scimmiette che gridano «Mamma!», cavalli seduti a tavola, cani gialli, eccetera).

Chi è veramente morto e chi veramente vivo? Chi è l’apparizione di chi? Tario ci confonde di continuo, ma la chiave per comprendere questo rapporto di reciprocità risiede con tutta probabilità nella funzione salvifica attribuita al ricordo. È colui che ricorda a richiamare a sé le presenze, a tenerle in vita, più o meno consapevolmente, attraverso un disperato lavoro della memoria.

«Quasi nessuno la ricordava; era vero. E perciò moriva. Soltanto un ultimo ricordo, disperato e preciso, la teneva in vita da lontano. […] E non appena quel pensiero si fosse estinto, non appena quel ricordo avesse smesso di esistere, anche lei avrebbe smesso di esistere».

Di contro, nell’universo tariano, il sogno pare avere molto a che fare con la morte, come avviene nel racconto eponimo “Fra le tue dita gelate”. In questa storia, lo strano sogno di uno studente che non riesce più a svegliarsi si rivela essere una sorta di dimensione postmortem nella quale la voce narrante è chiamata a immergersi nelle profondità della propria psiche per fare i conti con i suoi desideri repressi e con la profanazione di un tabù. Un’evoluzione circolare, dove la dimensione onirica sconfina in una morte che continua a influenzare la realtà attraverso il sogno, e così di nuovo all’infinito.

Per quanto certi racconti non superino ormai la prova del tempo per stile di scrittura e intuizioni narrative, Fra le tue dita gelate ci regala alcuni pezzi di bravura (“Ortodonzia”, “Lo uistitì”, “Fra le tue dita gelate”) e ci consegna una lezione da non dimenticare, l’invito a coltivare ciò che noi soli riusciamo a vedere, fuori e oltre il senso comune:

«Finché un essere umano non ha imparato ad accettare tutte le magiche possibilità che la vita ci offre – anche quelle che potrebbero sembrarci più inammissibili e remote – non si può avere la certezza che quell’essere esista pienamente».

 

(Franciso Tario, Fra le tue dita gelate. Racconti fantastici, trad. di Raul Schenardi, Safarà, 2022, 232 pp., euro 18, articolo di Martin Hofer)