Libri
Razzismo e letteratura: affinità e divergenze
“Che razza di libro!” di Jason Mott
di Cristina Cassese / 13 luglio
Dalla tragica morte di George Floyd, avvenuta nel maggio del 2020, il movimento Black Lives Matter è balzato agli onori della cronaca internazionale: da quel momento, in Occidente e non solo, il faro dell’opinione pubblica è puntato sul cosiddetto razzismo sistemico negli Stati Uniti e, sotto la luce dei riflettori, le macchie di sangue continuano a moltiplicarsi tristemente.
Non a caso, la schiavitù, l’apartheid, la criminalizzazione delle comunità e la conseguente lotta per il riconoscimento dei diritti civili sono i temi ricorrenti della letteratura afroamericana, le cui radici affondano storicamente nel Rinascimento di Harlem e nel Civil Rights Movement. Si tratta di un filone ampiamente riconosciuto come parte integrante del canone letterario statunitense, che annovera voci di grandissima rilevanza, da James Baldwin a Toni Morrison, da Alice Walker a Colson Whitehead.
Al contempo, tuttavia, c’è da chiedersi fino a che punto, per scrittori e scrittrici afroamericani, debbano essere necessariamente questi i confini del perimetro narrativo. È proprio su questo limite – ideologico ma anche esistenziale – che si posiziona Jason Mott con il suo ultimo romanzo, proponendo un punto di vista atipico sul binomio composto da letteratura e razzismo.
Che razza di libro! (NN Editore, traduzione di Valentina Daniele) è, infatti, un metaromanzo che si sviluppa sull’intreccio progressivo di due piani narrativi. Il primo è il racconto diretto di uno scrittore all’apice del successo che, nel bel mezzo di un tour promozionale, incontra un ragazzino dalla pelle scurissima: niente di speciale, se non fosse che questo bambino lo vede solo lui e il romanzo in questione s’intitola, appunto, Che razza di libro! Il secondo piano, invece, interamente declinato in terza persona, è incentrato sulla storia di Nerofumo, un bambino che, a seguito della perdita del padre, ucciso dalla polizia, decide di diventare invisibile.
Uno scrittore afroamericano attraversa il paese portandosi appresso un disagio profondo: alcolizzato, fatica a distinguere la realtà dai suoi stessi sogni e vive costantemente in balia della sua agente e di un consulente editoriale che lo sollecitano a esporsi sulla questione razziale. Incapace di rispondere alle aspettative, avviluppato com’è in una morsa paralizzante fatta di apatia, indecisione e narcisismo, costui instaura una relazione misteriosa con il Ragazzino che lui solo può vedere e sentire.
Come una sorta di controcanto in parallelo, il racconto di Nerofumo restituisce, invece, tutta la drammatica complessità dell’essere neri nella società statunitense: c’è l’umiliazione subita di continuo, la paura ansiogena di morire per caso, la rabbia nei confronti di un sistema talmente radicato da sembrare inamovibile.
Pagina dopo pagina, i due piani si intersecano, a tratti si confondono; non si può fare a meno di chiedersi chi sia Nerofumo, se coincida con il Ragazzino che appare allo scrittore o se quest’ultimo non sia, piuttosto, una proiezione della sua coscienza. E ancora, chi è davvero questo scrittore e che relazione c’è tra il personaggio e lo stesso Mott? L’identità appare così come un processo permanente che ha a che fare con la percezione e la memoria del singolo individuo e, al contempo, con la dimensione collettiva e con le dinamiche sociali e relazionali.
Mott costruisce un crescendo narrativo che si spinge ai limiti della tenuta d’insieme: a tratti sembra quasi perdere il controllo delle sottotrame e dei personaggi, anche per via di un’oscillazione vertiginosa e costante della scrittura che mescola ripetutamente i registri linguistici, alternando pagine di cinica ironia a momenti di altissima intensità emotiva. La nebbia si infittisce e, come un pungolo, sollecita ad accelerare la lettura: nelle ultime righe, infatti, ruoli e relazioni emergeranno chiaramente.
Premiato nel 2021 con il prestigioso National Book Award, Che razza di libro! mantiene fino in fondo la promessa inerente al suo titolo (in inglese Hell of a Book!) raccontando non solo gli effetti ma soprattutto i dissidi – interni alla comunità e interiori ai singoli – che il razzismo sistemico continua a generare.