Cinema
Addio al capitalismo culinario
di Elisa Scaringi / 3 febbraio
L’anno prossimo il Noma chiuderà i battenti per diventare 3.0. La formula gourmet abbandona il campo all’esplorazione di nuovi progetti. Il ristorante più famoso al mondo mette in luce la crisi di un sistema per tasche ricchissime, ma ormai non più sostenibile. The Menu, in sala lo scorso novembre e ora disponibile su Disney+, propone allora una soluzione estrema: dare fuoco alla cucina di alto livello. Il piccolo esercito della brigata guidata da un tenente colonnello (lo chef candidato ai Golden Globe Ralph Fiennes, in arte Julian Slowik) fa scoppiare letteralmente la bomba, mettendo sulla griglia degli s’more umani, vestiti di marshmallow e col cappello di cioccolata. Il fuoco è la fiamma purificatrice «che ci nutre, ci riscalda, ci reinventa, ci forgia e ci distrugge». Il cibo industriale è la cenere che rimane a inquinare la terra, oltre che il nostro stomaco. I ricchi che pagano per avere un’esperienza culinaria sono la brace ardente, che non ha paura di andare in fiamme pur di degustare, pagando fior di quattrini.
All’inizio del film l’aspettativa dei commensali è alta, cominciando dalla suggestione di approdare sull’isola esclusiva di Hawthorn, e se non fosse per la deriva violenta che prende la vicenda, le pietanze la soddisferebbero ampiamente. Il cibo nel piatto, però, è sintomatico di un disagio: fino a che punto possono spingersi il potere e la ricchezza prima di cadere nel baratro di un limite che non sembra mai arrivare?
Come è stato per Triangle of Sadness, anche qui il capitalismo viene preso di mira, sbeffeggiato e fatto a pezzi. L’ironia passa attraverso il cibo gourmet, il simbolo di una cerchia di ricchi che possono sborsare 1.250 dollari per una cena. Solo Margot (la “regina degli scacchi” Anya Taylor-Joy, candidata anche lei ai Golden Globe) non comprende la filosofia che la circonda: ha voglia di cheeseburger e alla fine lo ottiene, mettendo alla prova lo chef, ripreso nell’unico momento in cui davvero cucina con entusiasmo.
Il gourmet è un genere ormai stanco e noioso, che folgora ancora i ricchi, ma senza più alcun senso ideale: il cibo “perfetto” è quello casalingo e genuino, che ricorda l’infanzia e dà uno schiaffo alla sperimentazione fredda e cruda di piatti già fuori moda.
Anche nella prima stagione di The Bear, sempre su Disney+, la cucina d’alto livello fa una brutta figura: il protagonista, infatti, si ritrova proprietario del locale di famiglia, infimo, sporco e confusionario, dove però i rapporti umani lo risollevano da un passato come chef di prim’ordine. Dopo aver lottato, sofferto, sudato per scalare posizioni nella brigata, anche a costo di maltrattamenti e soprusi, un dolore personale diventa l’aggancio per lasciare il bianco pulito di una cucina ordinata (ma odiosa) e immergersi nel buio sporco di un locale trasandato (e poi bellissimo). The Bear potrebbe essere il contraltare di The Menu: da una parte c’è il nome del ristorante dei sogni, l’orso che sta in gabbia ma vorrebbe evadere, dall’altra l’appellativo dell’unica cosa che conta in una cucina gourmet, ossia il menu. Ma The Bear potrebbe anche essere ciò che viene dopo The Menu, quando l’isola è saltata in aria e rimane solo un sopravvissuto, la Margot del cheeseburger goloso e familiare, che solo alla fine gusta davvero il cibo ottimale per il suo sentire. Non più la freddezza di un piatto perfetto e incomprensibile, ma il calore di un ricordo familiare.
Nella vita reale è il Noma che sta per dare il suo addio ai palati dorati da 500 euro a pasto. Non si potrà più pagare per avere un’esperienza culinaria di alto livello, almeno in quel di Copenaghen. Si chiude un capitolo, forse, per dare nuovo spazio al cibo e alla creatività artistica.