Varia
L’agilità di Zerocalcare
di Paolo Rigo / 14 maggio
Io non mi intendo di fumetti. Lo dico con sincerità piena. Sì, come tutti, più o meno, ho letto diversi giornalini: dai più classici della Bonelli – come l’intrepido Zagor, il vecchio Tex o l’intrigante Dylan Dog – a quelli che si sposano con il genere parodico, e ormai classico, del Ratman qualunque o dei personaggi esotici (i newyorkesi di Alan Ford), eppure così familiarmente italiani di Bunker & Co., e vuoi pure che ogni tanto i miei occhi si siano posati su un qualche tratto talmente sicuro, preciso, da farmi gridare all’arte pura, sebbene figlia dell’inchiostro. Naturalmente nell’ultimo caso parlo dei rarissimi tipi (nel senso di espressione del mezzo, di stile) di tre maestri: il poliedrico Manara, come dimenticare il bellissimo volume uscito con la Repubblica di qualche anno fa dove veniva illustrata la storia di Molly – per altro da una sceneggiatura di un altro padre del fumetto italiano – e del tamburello inglese; il grande Crepax, e la sua affascinante Valentina; Pratt (sceneggiatore proprio di Molly!) e il suo antieroe per eccellenza, il sognante Corto Maltese.
Eppure, dopo tutto, io so di non intendermi davvero di fumetti. Di non sapere nulla dei tratti, dei generi, dei modi, delle scuole (che anzi, ignoro vivamente), e di ogni altro aspetto legato a questo mondo. Ci sono persone più in gamba e più esperte del sottoscritto, poco ma sicuro. Posso, inoltre, aggiungere di aver posto il mio interesse ai margini della scuola fumettistica orientale e anche americana, incastrato nel mio limbo italiano posso dire, anche, che ho fatto entrare nella mia sfera di tradizione e conoscenza pochissimo da fuori, per lo più le esilaranti strisce, piene di cinismo, orrore e misantropia di Mr. Wiggles di Neil Swaab (per il quale devo assolutamente ringraziare un amico, lui sa…). La brevità di quest’ultimo, però, ci allontana dalla categoria centrale della storia, del genere narrativo del fumetto. A mio avviso, la striscia, forse per la sua brevità, si discosta dalla narrativa stricto sensu (sebbene proprio l’incisività della striscia è la sua forza maggiore, e a volte, ci sono dei casi in cui gli episodi sono legati tramite un narrato più ampio, una sorta di macrotesto), e chi vuole pensare che il mondo del fumetto non si incastri, almeno in parte, con la narrativa, rifletta sulla presenza in questo genere degli elementi di intreccio, fabula, e addirittura della presenza, in un discorso meramente tecnico, della sceneggiatura (come nel caso della suddetta Molly).
Mi sia perdonata questa divagazione circa le poche letture, o visioni, di disegni “parlanti” appartenenti magari a un canone, oppure, semplicemente, al mio gusto, incentrato – ed è bene ricordarlo – sul puro edonismo. E proprio su questo principio si esplicita il mio interesse verso il lavoro settimanale (ahimè ora forse non più!) di Zerocalcare.
Lo voglio confessare su questa rivista: ogni lunedì non riesco a trattenermi dal piacere della lettura. Cerco e ricerco ogni volta un buon motivo per rimandare la lettura della vignetta settimanale, mi sveglio e provo a ordinare mentalmente ogni fase della giornata, visualizzo il modo in cui occupare ogni mezz’ora disponibile della giornata per rimandare ancora una volta l’appuntamento fatidico con la pagina web di zerocalcare.it, aspetto pensando a un momento serale, paradisiaco in cui potrò leggere cosa è stato pubblicato oggi, cosa Zerocalcare mi narra, quale mia avventura avrà preso a pretesto, quale ricordo della mia infanzia farà la sua comparsa. Eh sì. Ho detto mia avventura. E pure mia infanzia. Queste sono le due capacità massime di Zerocalcare, e adesso vi spiego perché. Quante volte leggendo la sua striscia si è notata la presenza di un personaggio fantastico a cui si è legati che compare come spalla nello svolgimento della vignetta? La saggezza rappresentata dal maestro topo delle tartarughe ninja, Falgor, il fortunadrago de La storia infinita, immagine della pazienza, eccetera eccetera. Ogni personaggio è teso a rappresentare metaforicamente un proprio stato, un io proprio del narratore, coincidente con l’autore. Ma al tempo stesso è anche la raffigurazione di un orizzonte collettivo, di un tessuto metaforico preesistente che Zerocalcare riesce, con gran capacità e coraggio, a riproporre, a sfruttare, a cambiare, giocando con miti d’oggi (nel suo piccolo, certo) alla Roland Barthes, e vengono in mente le pagine del critico francese sui i film western o sui colossal americani ambientati in età romana. Ciò che queste figure svegliano davvero è la nostra coscienza, la nostra esperienza, questo è il loro compito principale, nostalgicamente ci fanno diventare parte di qualcosa, ci ricordano qualcosa che esiste in noi, proprio come agisce il simbolo. È proprio così, lo schizzo agile, la capacità e la ricchezza di questo giovane fumettista si materializzano tramite il racconto dei fatti quotidiani di tutti e si badi bene che nel rapporto con la realtà della massa si realizza il compito della narrativa (fantastica o meno), e insomma seguendo a grandi linee le lezioni di Benjamin e Auberbach – che mi sento di disturbare per un fumetto, se ne vale la pena – la rappresentazione del reale (e alcuni la chiamerebbero verosimiglianza) è il punto centrale da cui Zerocalcare parte per raccontare ciò che ci circonda, senza alcuna paura. E così, come gli artisti maturi sanno fare, si cimenta con ogni vergogna, con ogni bassezza, con il grande e il piccolo quotidiano della vita, attraversa ogni problema sociale senza nominarlo ma facendolo emergere; ed è capace di andare dal precariato che ci accomuna, fino alle condivisioni di stanze fatiscenti, passando per le piccole meschine e umane rivalse – si pensi all’ospitalità brutale offerta dal protagonista a un suo amico solamente accennata in una delle ultime avventure: «E la mattina ti ho detto che avevo perso la casa a backgammon per non ospitarti una seconda notte». Leggerlo non può che farci sorridere, e immediatamente emerge quel lato umano che in qualche occasione, magari minore, ci ha fatto comportare proprio così. Questo è lo schema di ogni storia: fare emergere delle nostre debolezze, e Zerocalcare, riuscendo a descriverle (o narrarle) con vera dovizia, è capace di farci sentire un poco migliori del suo personaggio, un gradino più su, eppure, allo stesso tempo fraternamente immersi nella medesima realtà. Ci inganna, senza volerlo, e con sapienza. Siamo noi i protagonisti sconfitti della sua saga. Maledetto che ci fa prendere coscienza di noi.
Un sentito grazie.
Leggi le strisce di Zerocalcare.