Musica
“WIXIW” dei Liars
di Valerio Torreggiani / 20 giugno
È un pentagramma smisurato quello a disposizione del trio newyorkese capitanato da Angus Andrew e Aaron Hemphill che, con questo WIXIW (Mute, 2012), criptico fin dal titolo, arriva al sesto lavoro in studio e, diciamolo subito, non mostra alcun segno di flessione. Prosecutori deliranti del suono dei Sonic Youth, del Pop Group e dei Gang of Four, i Liars lavorano in una continua urgenza di cambiamento, un bisogno insito nel loro stesso modo d’approcciarsi all’arte. Paradossalmente, il sottile filo rosso che lega tutta la loro produzione musicale è proprio l’assenza di un discorso musicale coerente e maturo che, al contrario, vive sempre sull’orlo del baratro, continuamente messo in discussione nei suoi modi e nelle sue forme. Ed è proprio la spiazzante molteplicità delle forme il vero punto di forza di questi figli mutanti della No Wave. Ogni loro lavoro diventa così un salto nel buio, dove la normalizzazione musicale è una chimera inutile da inseguire, continuamente fagocitata da un’insanabile bulimia musicale che rielabora continuamente gli innumerevoli stimoli provenienti dal mondo esterno.
Questo nuovo album si configura quindi come l’ennesimo capitolo di una saga di thriller psicologici a tinte fosche. Il titolo palindromico ci inserisce in un percorso musicale che prelude a un abbandono della concezione aristotelica del tempo come movimento lineare-progressivo che si esplica nello spazio. La temporalità in questo nuovo lavoro è, invece, concepita anch’essa palindromicamente. Immagine immobile dell’eternità, eterno ritorno, il tempo scorre in queste undici tracce in modo ciclico e ossessivo, come un romanzo circolare nel quale tutto termina dov’era in precedenza iniziato.
Rivoluzione continua, intesa nel senso primigenio come eterno ritorno a uno stesso punto, WIXIW apre le sue danze immobili con la liquida flessuosità di “The Exact Colour of Doubt”, tra sinuosi arpeggi di chitarra e lontani beat elettronici, sempre accennati ma mai definiti con precisione. Il viaggio è iniziato da poco ma già l’equilibrio è precario e l’ascolto si fa instabile. L’assenza di peso è solo apparente. Nasconde le insicurezze dietro una calviniana leggerezza della pensosità, che toglie volume alle figure e alle strutture del linguaggio, connotandole al tempo stesso di un’inquietudine metropolitana lontana dal frenetico post-punk degli esordi ma non per questo meno pressante e pervasiva. La tensione si fa solamente più sotterranea, più eterea, come nello pseudo-tribalismo misticheggiante di “Octagon”.
Si prosegue fluttuando nel vuoto con le astratte bolle di sapone elettroniche di “No. 1 Against the Rush”, splendido primo singolo estratto, e false ballate dominate da quartetti d’archi sospesi nel vuoto (“Who Is the Hunter” e “Annual Moon Words”), sulle quali si stagliano linee melodiche vocali à là Thom Yorke (“His and Mine Sensations”), il cui insegnamento è sempre più presente nel bagaglio sonoro dei Liars. Il parallelo con l’evoluzione dei Radiohead è un topos che si impone nell’analisi della produzione del trio newyorkese. Una medesima tensione escatologica sembra legare questo WIXIW a Kid A (Capitol, 2000) – ma in realtà anche il precedente Sisterworld (Mute, 2010) ad Amnesiac (Capitol, 2001) – rivelando una medesima riflessione sul reale, intrisa di apparente linearità che nasconde profondo malessere. Nei Liars questa tendenza appare però – molto più che nel caso dei Radiohead, i quali scontano provenienze più propriamente pop estranee invece al trio newyorkese – strettamente saldata alle solide radici post-punk di Angus e soci, che affondano in un milieu avanguardistico che da decenni caratterizza la proposta musicale targata Grande Mela e che risale alle esperienze di James Chance, di Lydia Lunch, dei Devo e dei Sonic Youth, ma che, andando ancora indietro nel tempo, trova i suoi progenitori assoluti nel rock psichedelico e decadente dei Velvet Underground. Queste radici eversive, unite a un certo nichilismo di stampo berlinese sviluppato durante la permanenza nella capitale tedesca di qualche anno fa, riemergono con forza in molti episodi del disco, come ad esempio in “Flood to Flood”e in “A Ring on Every Finger”, anarchiche filastrocche dall’andamento claustrofobico e centripeto, o in “Brats”, sbronza allucinata per uno psichedelico dancefloor underground.
I Liars continuano nella stesura del loro personalissimo vocabolario stilistico che sta approdando negli anni a una neo-grammatica della No Wave, che si accresce continuamente di nuove tematiche e sfugge a qualsiasi tentativo di categorizzazione. Rimane fortemente presente il senso di straniamento, l’intervento continuo sulle forme musicali con l’obiettivo di renderle estranee a sé stesse. È un dramma continuamente cortocircuitato quello dei Liars, una giostra post-moderna che catapulta l’ascoltatore direttamente nel vuoto, sospeso, alienato e inerme.
(Liars, WIXIW, Mute, 2012)