Varia
La “Cavalleria rusticana” secondo Pippo Delbono
di Francesco Bove / 21 luglio
«Scusate l’intrusione, sono il regista di questo spettacolo». Così comincia la Cavalleria rusticana di Mascagni. Ma è Delbono a parlare, a effondere nell’aria le prime note stonate di quest’opera imponente e popolare. Racconta due storie personali legate alla sua Pasqua, dove la perdita e il lutto sono fortemente presenti e si ricollegano magicamente alla scena finale con Delbono che si avvicina alla madre di Turiddu, affranta, e le porge la mano, un appiglio per non lasciarsi risucchiare dal mare delle lacrime, dal dolore della tragedia appena compiuta.
L’orchestra del Teatro San Carlo, superbamente diretta dall’israeliano Pinchas Steinberg, attacca il preludio e la scena non si apre su un paesino della Sicilia bensì su uno spazio dalle pareti screziate di rosso, colore del sangue e del peccato. Ci sono tante sedie, disposte ai lati, che un po’ ricordano Pina Bausch, un fuoco vivo arde al centro della scena. Può partire la Cavalleria di Delbono, angosciante, deragliante, di rottura. Terribile, se non si entra nell’ottica del regista. Meravigliosa, come una poesia viva e sofferta, ed eccessiva. Gli interpreti in scena sono bravissimi, pienamente in parte e supportati da un coro che, probabilmente, ha raggiunto uno dei suoi vertici. Turiddu, un possente Stuart Neill, è conteso tra Lola, una seducente Giuseppina Piunti, e Santuzza, una Susanna Branchini commovente e disperata. Ma Lola è sposata con il carrettiere Alfio – meraviglioso il suo ingresso in scena – che si vendicherà del torto subito. E al grido di «hanno ammazzato compare Turiddu» si chiude disperata una Cavalleria rusticana che non ha eguali nella storia del teatro lirico.
Non ha eguali soprattutto per la messa in scena di Delbono, costantemente sul palco, presenza ingombrante, pesante, che si aggira come uno spettro a seguire la sua rappresentazione, fantasma non visto con accanto il suo Bobò, attore storico della sua compagnia, sordomuto. È Delbono ad accogliere gli attori nella sua rappresentazione, ad aprire le porte e il portellone centrale e a fare entrare solo fasci di luce a dispetto del calore e del colore giallo torrido a cui siamo stati abituati dalle classiche rappresentazioni della Cavalleria rusticana. Qui la luce entra solo dalle porte laterali, dentro quest’entroterra dell’Io più profondo c’è spazio solo per il dolore, la sconfitta, la perdita. Come se Delbono avesse voluto amplificare all’ennesima potenza – e in questo è supportato dal coro e dagli attori tutti assolutamente centrati – la tragicità della vicenda. E, nonostante alcune mancanze, Delbono ha reso fortemente presente lo spirito di Mascagni rimanendo, nonostante le critiche e i fischi del pubblico, fedele agli originali intenti.
Cavalleria rusticana
di Pietro Mascagni
regia di Pippo Delbono
direttore d’orchestra Pinchas Steinberg
Andato in scenail 18 luglio 2012 presso il teatro San Carlo di Napoli.