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“Storie da dentro” di Franca Berti e Claudio Fabbrici

di Alessio Spedicati / 8 ottobre

Non nascono sempre “dentro” le storie che vogliamo raccontare? Quando il “dentro” però non è solo metafora o immagine di pulsioni nascoste, di sentimenti innominabili cui vogliamo dar voce, ma rappresenta la condizione reale ed effettiva, quella di un carcerato, allora il tentativo dell’autobiografia assume significati inaspettati, da scrutare con attenzione.

Un’analisi che necessita dello sguardo scientifico-psicologico di esperti come Franca Berti e Claudio Fabbrici, ideatori e curatori di Storie da dentro – Racconti di vita e malavita (Memori Edizioni, 2012).

Un progetto in cui si vuole dare la possibilità ai detenuti (in questo caso rinchiusi nella casa circondariale di Bolzano) di raccontare la propria storia, di trarre fuori da sé un vissuto reso ancor più intricato dai risvolti della condizione detentiva. Perché, come spiegano i saggi degli esperti presenti nel libro (C. Fabbrici, M. Palma, F. Berti, G.L. Barbieri, M. Carlotto), le questioni in gioco in queste interviste biografiche fanno della complessità psicologica la cifra distintiva. Basti pensare che la “penna” del detenuto si muove fra il “dentro” del carcere e del proprio io e il “fuori” dell’ambiente esterno e dell’esplicazione del racconto; fra la verità espressa in vari modi e la menzogna che assume molto spesso la dimensione del meccanismo di difesa, dell’autoaccettazione; fra il dolore e il pentimento per gli errori commessi e la giustificazione per cui forse non avrei potuto fare diversamente.

In alcuni casi il ricordo è talmente arduo che la confusione sembra prevalere, in altri la lucidità mostrata è a tratti sorprendente e per questo più dolorosa. Come nel caso del detenuto Quequeg: la sua è una descrizione struggente, un’ammissione tranciante: «Brutta bestia l’alcool, non c’è niente e nessuno che mi faccia più paura, è un nemico senza dignità… Lo odio». Alcool e droga sono spesso compagne inseparabili delle tante storie presentate; più che corollario, causa/effetto di quasi tutti i drammi vissuti.

È superfluo sottolineare l’utilità di una lettura del genere, basta affrontarla con un atteggiamento scevro da qualsiasi pregiudizio. Sovraffollamento, suicidi, rassegnazione rappresentano realtà impellenti e ormai sopra il livello di guardia, ma non sufficienti da sole a spiegare l’importanza del racconto autobiografico in tale contesto. Il punto centrale è che ognuno ha la propria storia e una specificità che deve essere preservata dal rischio di omologazione; rischio a cui le sbarre danno purtroppo una concretezza quotidiana. La convinzione è che solo rivalutando l’unicità del soggetto si può davvero tentare una seria riabilitazione per il “fuori”. Certo, le condizioni ambientali hanno un’importanza decisiva, ma il lavoro sul recupero della persona ha la precedenza in ogni caso. Perché al di là di dietrologie o manifesti politici, rimane l’esistenza di una persona che deve avere l’effettiva possibilità di riscattarsi.
 

(Franca Berti  Claudio Fabbrici, Storie da dentro – Racconti di vita e malavita, Memori Edizioni, 2012, pp. 140, euro 15)