Cinema
[RomaFilmFest7] Ottava giornata
di Francesco Vannutelli / 17 novembre
Durante il G8 di Genova Cosimo (Riccardo Scamarcio) soccorre Nicole (Clara Ponsot), giovane francese ferita alla testa. I due si innamorano in fretta, rimangono insieme, iniziano a lavorare per Paolo (Sassanelli) che organizza concerti in città. Quando però tutto sembra perfetto qualcosa arrivare a turbare la quiete: mentre allestiscono un palco, un operaio guineano precipita schiantandosi al suolo. Per sfuggire alla polizia e all’inevitabile sequestro della struttura, Paolo convince i ragazzi ad aiutarlo a nascondere il corpo. Sarà l’inizio di una crisi per Cosimo e Nicole, con lo spettro dell’africano a incrinare il loro rapporto.
Ha più pregi che difetti, Cosimo e Nicole, opera seconda di Francesco Amato presentato in concorso nella sezione Prospettive Italia. Partendo dai difetti: pecca di giovanilismo, di esaltazione retorica delle situazioni dei vent’anni, ostenta ciò che è stato già visto più e più volte. I due protagonisti fanno l’amore con passione, sono giovani e belli, bevono, fumano, si aggirano semi vestiti in ambienti alternativi, sono liberi di una libertà stucchevole. Affidano le loro considerazioni alla inutile voce fuori campo, urlano lo spirto guerrier che entro gli rugge a caso, così, tanto per passare il tempo.
Però, il film di Amato non è banale. Ha meriti, notevoli. Pur narrando una storia privata e chiusa, come già il titolo indica, dice molto sull’attualità, partendo da Genova e arrivando all’Europa Unita, passando per le morti bianche, l’immigrazione clandestina, il lavoro nero e i recentissimi incidenti di palco in Italia e in Europa (Radiohead, Jovanotti, Pausini), e lo fa bene.
Pur scivolando in alcune debolezze, soprattutto sul piano della sceneggiatura (dialoghi superficiali, coincidenze inverosimili, improbabili occasioni di lavoro), il film si mantiene per tutta la durata. Sembra chiaro che la fascia di pubblico cui si vuole rivolgere è quella dei più giovani. Il contesto da centro sociale in cui tutta la vicenda è calata, la musica alternativa (presenti sullo schermo Marlene Kuntz, Bud Spencer Blues Explosion, Verdena e Afterhours) nelle scene dei concerti molto ben girate, le scene di sesso sufficientemente esplicite, la presenza di Scamarcio, conferiscono a Cosimo e Nicole quegli attributi per poter diventare, se distribuzione e pubblico saranno complici, un piccolo cult generazionale dotato quantomeno di un minimo di spessore.
L’attore pugliese ha animato anche un tappeto rosso che finora ha avuto ben pochi sussulti. A parte il delirio per Verdone e Stallone, infatti, le passerelle degli ospiti non sono state bagnate dalla folla. La presenza di Scamarcio, insieme a una carrellata di concorrenti e vincitrici di Miss Italia dal 1957 a oggi, da Gina Lollobrigida all’ultima Giusy Buscemi, presenti per il documentario dedicato al patrone del concorso per la più bella d’Italia, Enzo Mirigliani – storia di un ragazzo calabrese, al maestro Franco Battiato e Toni Servillo (autore della colonna sonora e interprete de Il viaggio della signorina Vila, docufiction di Elisabetta Sgarbi in concorso nella sezione MaXXi), e alle star americane James Franco (presenta un suo corto di due minuti, Dream) e Stephen Dorff (protagonista di The Motel Life), hanno portato una ventata d’entusiasmo in Festival che ha dato pochi brividi agli amanti della mondanità fine a se stessa.
Proprio il film con Dorff è l’ultimo film della sezione Concorso ufficiale a venir presentato ed entra sicuramente tra le pellicole migliori viste a Roma 2012.
The Motel Life degli esordienti Alan e Gabrile Polsky è la storia cruda ma non autoindulgente di Frank e Jerry Lee, due fratelli costretti a crescere da soli dopo che il padre li ha abbandonati e la madre è morta di cancro. Prima di morire, la donna ha detto ai due ragazzini di non lasciare che nulla li dividesse, di restare uniti sempre. I fratelli l’hanno presa in parola, hanno affrontato la vita insieme, legati ancora di più dopo che Jerry Lee ha perso una gamba mentre cercavano di saltare su un treno che potesse portarli in un altrove migliore. Hanno iniziato a lavorare bambini, hanno trovato riparo dal mondo nella fantasia, Jerry Lee disegnando, Frank inventando storie che racconta al fratello immaginando un passato e un futuro migliori, in cui i due sono eroi di guerra o pirati e hanno donne bellissime solo per loro. Ora vivono in un motel di Reno, con un muro pieno di ricordi disegnati. Frank (Emile Hirsh) beve troppo e vomita, Jerry Lee (Stephen Dorff) cerca l’amore con donne sbagliate. Una notte irrompe in stanza mentre il fratello dorme. Devono fuggire, ha fatto un casino. Dopo aver litigato con la sua ragazza ha investito un ragazzino in mezzo alla nevicata, in preda al panico lo ha abbandonato davanti all’ospedale. Cerca la fuga col fratello, cambia idea, non vuole coinvolgerlo. Ha una pistola, si spara alla gamba mutilata perché gli manca il coraggio di suicidarsi, viene portato in ospedale. Frank lo trova e gli rimane accanto, anche quando la polizia inizia a indagare e arriva a fargli domande. Lo aiuta a fuggire, vince dei soldi con una scommessa e lasciano Reno verso Elko. Lì abita Annie James (Dakota Fanning), vecchio amore di Frank mai dimenticato e ancora sofferto, lasciata andare dopo aver scoperto cosa la costringeva a fare la madre. Lì sembra possibile una nuova vita, in un nuovo motel, con un cane recuperato in strada e la polizia ormai lontana Ma Jerry Lee sta male e la sua gamba è infetta e per una volta Frank non può fare niente per lui.
Film semplice, concreto, senza pretese d’autore, con molti momenti apprezzabili – su tutti le animazioni a matita di Mike Smith che danno vita ai racconti di Frank (ricordano quelle di The Dangerous lives of Altar Boys, anche quello con Emile Hirsh, casualmente) – e il merito di non dipingere i due protagonisti come vittime e basta. Jerry Lee e Frank sono due disperati con cui la vita non è stata generosa, è un fatto, ma i due non fanno nulla per aiutarsi. Rimbalzano la vita da una stanza di motel all’altra, precari in tutto anche nel tetto che li copre. Bevono troppo e perdono lavori per la loro negligenza. Frank è più pratico ma porta addosso stracci di dolore che non riesce a ricucire. Ama Jerry Lee ma è il suo fardello più grande. Trova nel venditore di auto Earl (Kris Kristofferson) qualcosa di simile a un padre che sa dirgli quelle parole che servono per capire che in fondo, volendo, c’è sempre speranza. Ed è proprio la speranza quella scintilla in più che salva il film dalla disperazione. La speranza di una vita migliore, di una nuova possibilità come quella che ha avuto Annie James, dopo un’adolescenza incestuosa e atroce, con un semplice lavoro in una panetteria. La speranza che si vede allargarsi sul volto di Hirsh, qui in una grande prova, come Dorff del resto, senza isterismi e all’insegna della misura e dell’interiorizzazione.
The Motel life incarna in sé molti aspetti della cultura americana, dalla musica country di Willie Nelson, più volte citato, ai racconti di Carver, a tanto cinema di fughe e di strada. Lo fa con onestà e senza cadute di stile, aggiungendo poco al già noto, ma interpretandolo con voce autentica e sincera.
Vista la pochezza dell’offerta in concorso è facile attendersi un premio nella cerimonia conclusiva.