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Afro al Museo Carlo Bilotti di Roma: una mostra da centenario?

di Chiara Tosti Croce / 1 dicembre

Il Museo Carlo Bilotti, piccolo edificio nel verde di Villa Borghese, ospita fino al 6 gennaio la mostra Afro. dal progetto all’opera. 1951-1975, realizzata in occasione del centenario della nascita del pittore. Scopo della mostra, come suggerisce il titolo e come dichiarato dagli stessi curatori, Barbara Drudi, Peter Benson Miller e la Fondazione Archivio Afro di Roma, è quello di svelare i complessi processi creativi che vi sono dietro l’opera astratta di Afro Basaldella.

L’intento è quello di mostrare al pubblico il lungo lavoro di preparazione che l’artista intraprendeva prima di giungere alla realizzazione dell’opera al fine di sfatare quel diffusissimo luogo comune che è spesso associato all’arte astratta o all’arte concettuale e che si può riassumere con l’affermazione: «questo lo so fare pure io».

In effetti, chiunque abbia anche solo una superficiale conoscenza dell’arte astratta, sa perfettamente che questo genere di opere, a partire da Kandinsky e Mondrian, non è il frutto di un momentaneo e improvviso impulso creativo dell’artista, ma il risultato di un’elaborazione concettuale superiore che funge da medium tra l’immagine reale, fisica, dell’oggetto, e la sua rappresentazione artistica, in cui è l’universo emotivo e intellettuale dell’artista a descrivere e raffigurare l’oggetto. Afro stesso descrive perfettamente il suo lavoro artistico in questo modo: «I miei sentimenti più profondi, i miei ricordi, i miei giudizi sulle cose, le mie insofferenze e persino i miei errori e terrori si condensano nell’andamento di una linea, nella luminosità di un tono»; il suo lavoro è quindi il risultato fenomenologico di un’esperienza più emotiva che sensoriale. Eppure, nonostante il grande lavoro introspettivo, emotivo e intellettuale che vi è dietro a un’opera di arte astratta, la tentazione di giungere alla conclusione che anche noi saremmo stati degli ottimi astrattisti è molto forte.

La mostra, in due piani di esposizione, intende smentire questo pregiudizio e lo fa attraverso l’esposizione dei disegni preparatori che l’artista eseguiva, affiancati spesso, ma non sempre, all’opera finita, così da mettere in evidenza le linee cancellate, ricalcate, rifinite e perfezionate dei disegni e svelare la meticolosità dell’opera di Afro, la sua lunga ricerca verso la “giusta linea” da eseguire.

Un bellissimo e completo esempio di questo lungo lavoro concettuale è fornito dai disegni e dagli acquarelli del dipinto “Il ragazzo con il tacchino”, esposti a fianco della tela originale del 1954 proveniente dal MoMa. L’episodio del ragazzo con il tacchino, come rivela lo stesso Afro, deriva da una personale esperienza infantile: la visione di un ragazzo di campagna che strangolava un tacchino, scena che appare evidente anche nel quadro, una tela lontanamente ispirata dalle esperienze cubiste e in cui si scorgono distintamente un viso sorridente e una mano in corrispondenza della gola di una figura chiaramente identificabile con un tacchino. L’opera trasmette con inquietudine un senso di gioco, di leggerezza e di giocosità uniti a un’impressione di orrore e violenza, quel misto di innocenza e crudeltà proprie della genuinità infantile, sensazioni rafforzate dalle scelte cromatiche basate quasi interamente sulla tonalità del rosso, colori caldi e violenti che suggeriscono un clima di festa e insieme di brutalità, unite a una macchia scura, sul blu, da una lato, quasi a voler evidenziare la zona d’ombra, l’oscurità, delle attitudini umane.
 


Il primo schizzo, a inchiostro blu e di piccole dimensioni, è l’origine spontanea, lo scheletro, dell’opera; qui il tratto è più libero e istintivo, è l’emergere del ricordo. Nel secondo e nel terzo, l’immagine è più grande e il tratto più marcato, più controllato e ponderato, inoltre, l’inchiostro inizia a fungere da pittura e nascono anche le prime decisioni circa le tinte, i pieni e vuoti del dipinto. Finalmente si giunge al disegno preparatorio vero e proprio, un disegno ad acquarello e carboncino in cui anche i colori iniziano a essere definiti. In questi disegni si capisce come il lavoro di Afro sia un lavoro di «accumulazione», come la stessa curatrice Barbara Drudi scrive nel catalogo, durante tutte le fasi del suo lavoro Afro passa da uno scheletro a un corpo attraverso l’elaborazione e la formalizzazione di un pensiero originario che prende forma.

Il taglio che si è voluto dare alla mostra, così centrata sul disegno preparatorio e sul processo elaborativo, è sicuramente un’idea molto intelligente per trattare l’astrattismo. Anche decidere di sviluppare quest’idea attraverso l’opera di uno dei massimi esponenti del genere a livello internazionale, quale Afro è stato, è indubbiamente un’iniziativa lodevole. C’è comunque da dire che per una mostra in occasione del centenario della nascita dell’artista, personalmente, mi sarei aspettata molto di più.

L’esposizione risulta un po’ scarna nell’insieme, la visita non richiede più di mezz’ora o al massimo quaranta minuti, ed è inoltre priva di “effetti speciali”, di almeno un’opera simbolo o un disegno veramente notevole che possa dare l’idea di “mostra da celebrazioni”: è quindi decisamente inferiore alle aspettative che si possono avere sentendo parlare di esposizione per il centenario. Un modo sicuramente migliore per festeggiare questa ricorrenza può essere, ad esempio, quello di recarsi alla vicina GNAM che ospita nei suoi spazi la collezione Brandi, molto più ricca e significativa, soprattutto perché proprio Cesare Brandi fu il principale “sponsor” dell’artista; naturalmente anche vederle entrambe sembra un’ottima soluzione.

Altra nota non positiva è la mancata indicazione dei prestatori; solo guardando il catalogo si può conoscere la provenienza delle opere in mostra, quasi tutte peraltro provenienti da collezioni private, una sola dal MoMa di New York, “Il ragazzo con il tacchino”, e un’altra proveniente dalla Fondazione Archivio Afro. Il dubbio che sorge spontaneo è se effettivamente sia esistito un progetto chiaro e specifico circa questa mostra o se essa non sia il risultato migliore che si potesse ottenere in poco tempo e con risorse limitate a seguito dell’annullamento dell’altra annunciata mostra su Mimmo Rotella.

Il biglietto è di 8€ intero o 7€ ridotto, forse leggermente sproporzionato rispetto all’offerta, ma una cifra comunque investibile, magari al posto di un cinema, per riempire una domenica di passeggiata nel verde di villa Borghese.

 

Afro. dal progetto all’opera. 1951-1975
Dal’11 ottobre 2012 al 6 gennaio 2013 presso il Museo Carlo Bilotti, Roma.

Per ulteriori informazioni:
http://bit.ly/SmqCal