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“L’origine della distanza” di Francesca Scotti

di Anna Quatraro / 9 maggio

Romanzo d’esordio della giovane Francesca Scotti, L’origine della distanza (Terre di mezzo, 2013) racconta un Giappone turbato da segreti così intimi da passare inosservati.

Il viaggio di Vittoria, la protagonista di questo testo breve e condensato, segue l’invito del fidanzato Lorenzo, conosciuto in Italia, a raggiungerlo a Kyoto, dove lavora. Ma all’ultimo momento, la avverte che lui ci non sarà, insistendo perché lei non rinunci al viaggio, in un paese che lui le ha raccontato in molti aneddoti. Così, la visita del Giappone diverrà il pretesto per dedicarsi a se stessa e ricercare la poesia dei luoghi.

Ospitata da una affabile agente immobiliare, Vittoria si immerge subito nella commistione rarefatta di grazia e sconforto che alimenta il Giappone moderno. I personaggi che vi abitano celano una malinconia ribelle, un desiderio che i diktat formali ostacolano, una rivolta silenziosa espressa nello shinjuu, il suicidio di coppia, accanto a quello individuale, nel rintanamento dei hikikomori, l’isolamento in casa, e nello johatsu, l’evaporazione, un abbandono dell’identità di ascendenza pirandelliana.

Queste fughe rappresentano i rimedi più vistosi alla durezza della vita e alla supremazia dell’efficienza produttiva che, accanto all’orgoglio nazionale, rafforzano l’idea di un Giappone alienato e inaridito, pronto a riversare sugli individui aspettative e limitazioni molto alte, testimoniato, per esempio, dallo stretto legame fra il rendimento scolastico e le possibilità di successo lavorativo. Come ricordano i reportage di Tiziano Terzani, la terra del Sol Levante è diventata dagli anni ’50 una prigione a cielo aperto, dove il consumo forsennato di intrattenimento convive con lo spettro del fallimento e dell’inadeguatezza esistenziale che spesso spinge i più deboli sulla strada, alla mercé della potente mafia locale.

La voce di Francesca Scotti registra con delicatezza il soffocamento muto della personalità di molti abitanti di Kyoto, l’assillante timore delle radiazioni dopo il recente tsunami, una contaminazione quasi morale di presenze invisibili, simili agli spiriti che affollano la mitologia tradizionale. «Il Giappone è un luogo sicuro per il corpo, pericoloso per la mente», ammonisce un vecchio seduto su una panchina. La mitezza delle atmosfere, i ciliegi in fiore, i sapori semplici e puliti della cucina sono una patina genuina, ma provvisoria che celano malesseri molto radicati, come il rappresentante che si butta sui binari, un gesto accolto con noncurante fatalismo dai passanti.

Lo spaesamento diffuso porta Vittoria al confronto fra i modi giapponesi  e la sua infanzia, e a cedere alla fascinazione verso la dolcezza della vicina di casa, abbandonandosi, novella Alice nel paese delle meraviglie, a un percorso di visioni sfuggenti. «Il Giappone continua a farmi questo effetto, una sorta di vulnerabilità che mi fa tornare bambina: fatico a leggere, scrivere è un po’ come disegnare, e sono disposta a credere a tutto. O quasi». Incastrato da questa esaltante ambiguità, il soggiorno si prolunga in modo imprecisato, seguendo il tempo surreale della solitudine che ha sconvolto Lorenzo.

Pur nella scarsità di temi e nell’assenza di una trama ricca, il romanzo ha un innato equilibrio. Lo sguardo soave e distaccato dell’autrice sbriciola l’idea di un paese senza sensualità, affidandosi a doti evidenti, come la chiarezza delle domande che Scotti pone, l’elusività delle risposte e lo spazio conciliante dei non-detti, elementi magici contro il feroce sospetto di essersi smarriti.


(Francesca Scotti, L’origine della distanza, Terre di mezzo, 2013, pp. 112, euro 12)