Libri
“Che parlino le pietre” di David Machado
di Chiara Gulino / 10 maggio
«Il passato è sempre qui. Il passato aumenta sempre e sarà molto difficile che io dimentichi qualcosa».
Viaggiando tra le righe di Che parlino le pietre (Cavallo di Ferro, 2013), romanzo dello scrittore portoghese David Machado, ho avvertito il confondersi e l’intorpidirsi delle acque cristalline della verità, mentre l’io narrante, il giovane Valdemar, riportava le storie del nonno paterno Nicolau Manuel. Ma che cos’è poi la verità?
Il passato è immodificabile eppure è soggetto alle interpretazioni che la memoria di ciascuno ne dà. Si può perfino incolpare della piega presa dalla propria vita, accusandola dei più meschini misfatti, una persona tutto sommato mite e laboriosa come il sarto Amedeu Castelo.
Nicolau Manuel aveva 19 anni quando venne tradito da colui che gli stava confezionando il vestito per il matrimonio con Graça dos Penedo. Allora viveva nello sperduto paesino di Lagares con sua madre merciaia che aiutava in bottega. Appassionato di caccia, in una battuta insieme a Graça perse due dita della mano destra.
È il 22 giugno 1947. Nicolau è reduce dai festeggiamenti per il suo addio al celibato. Il Portogallo è in mano a Salazar. Accusato di far parte di una banda di guerriglieri rivoluzionari antifascisti, i galleghi comandati dallo spagnolo Guillermo de La Coruña, Nicolau viene arrestato dalla Guardia Nacional (PIDE). Imprigionato, viene sottoposto a un interrogatorio con torture e sevizie. Viene reso sordo e ridotto in fin di vita e infine deportato al Campo di Tarrafal, detto Campo della Morte Lenta.
Valdemar assimila i racconti picareschi e sanguinolenti del nonno e si immedesima a tal punto da voler vendicare quel povero vecchio disilluso che passa le sue giornate su un divano a guardare episodi di telenovela. Si reca così da Graça dos Penedo, sposata con il sarto Amedeu Castelo, per raccontarle quella che lui pensa sia la verità, ma scoprirà che la realtà è ben diversa.
Stretto tra il passato del nonno e le urgenze del presente, Valdemar si rivela un adolescente problematico. Obeso, amante della musica heavy metal, violento e introverso, soffre la lontananza della madre giornalista e la pressione soffocante del padre. Ha una particolare simpatia per la ragazza più bella e alta della scuola, Alice, la sua prima fidanzatina, anche lei con una difficile situazione familiare che l’ha portata ad ammalarsi di anoressia: «Poco a poco si lasciò trascinare dalle sue paure più grandi, perse il cammino della logica e si convinse che non avrebbe mai smesso di crescere e che, probabilmente, sarebbe morta alta come un albero o come un palo della luce. Per questo iniziò a cercare modi per smettere di crescere. Per questo smise di mangiare».
David Machado, con una scrittura complicatamente moderna, incrocia tre diversi piani temporali, il passato del nonno ai tempi del regime, il passato recente del piccolo Valdemar e il presente così come sono stati vissuti o appresi dall’io narrante, creando un cortocircuito, un groviglio pieno di nodi equivoci in cui è difficile districare la realtà dalla menzogna: «La menzogna non è il peggior nemico della verità. Il dubbio lo è. È l’incertezza che rovina tutto, creando buchi nei quali c’è posto per tutte le verità, possibili e apparenti».
E il dubbio si insinua nella mente del lettore, rendendo la narrazione coinvolgente, e dimostra come il più delle volte i fatti della vita si intrecciano senza spiegazioni apparentemente razionali.
(David Machado, Che parlino le pietre, trad. di Federico Bertolazzi, Cavallo di Ferro, 2013, pp. 368, euro 16,50)