Cinema
“A Lady in Paris” di Ilmar Raag
di Francesco Vannutelli / 14 maggio
Vincitore del Premio Ecumenico all’ultima edizione del festival di Locarno arriva in Italia A Lady in Paris, opera seconda dell’estone Ilmar Raag (già in evidenza con il crudo Klass del 2007) interpretato da una straordinaria Jeanne Moreau.
Anne ha un ex marito alcolizzato che continua a girarle intorno, due figli ormai grandi che studiano e lavorano all’estero e una madre malata a cui ha dedicato gli ultimi anni della sua vita, rinunciando al suo impiego come badante. Quando la donna muore, Anne si ritrova con la minaccia del vuoto a riempirle i giorni. Una telefonata la scuote; un’offerta di lavoro lontano da casa e da tutto. Decide di accettare, così prende le sue cose e parte dall’Estonia per raggiungere Parigi dove dovrà prendersi cura di Frida, un’anziana estone arrivata in Francia molti anni prima. I primi tempi non saranno facili: la signora non vuole essere aiutata, non collabora, si oppone con infantile ostinazione ad Anne distendendosi solo quando c’è Stéphane, un suo ex amante molto più giovane che continua a farle visita e si preoccupa di sostituire le cameriere che Frida caccia una dopo l’altra. Lentamente, Anne riuscirà a diventare amica di Frida ritrovando anche il piacere di occuparsi di se stessa.
Premiando A Lady in Paris, la giuria di Locarno ha motivato la scelta rimarcando la capacità di mostrare «le difficoltà di vita e di comunicazione tra due persone che appartengono alla stessa cultura ma a diversi strati sociali». Non è tanto il divario sociale a tenere lontane Anna e Frida. Non c’è snobismo o arroganza borghese. Frida non maltratta Anne perché è la sua badante ma perché le ricorda un passato che non vuole più come memoria, una patria, non solo geografica, lasciata anni prima e con cui non sente di avere più nulla a che spartire, perché divenuta una vraie parisienne. Non c’è più spazio nel suo presente per i ricordi, per quegli anni che si rifiuta di riconoscere come andati: accettare il tempo trascorso vorrebbe ammettere che quello con Stéphane è un amore morto e rinato come un affetto quasi filiale, vorrebbe dire precludersi l’ultima speranza di vederlo tornare un giorno per rimanere. Per questo Frida non esce più di casa, vive rintanata rifiutando la verità del tempo. Per questo guarda con dispetto le tradizioni estoni di Anne, le zuppe a colazione, le scarpe tolte appena si entra in casa.
Il punto d’incontro tra le due è a metà strada, come sempre. Così, Frida insegna ad Anne dove comprare i croissant la mattina, le passa i suoi vestiti da signora di salotto, le fa riassaporare il gusto di sentirsi donna, una donna di Parigi, mentre Anne convince Frida a conciliarsi con il passato, a parlare dei suoi ricordi in Francia e in Estonia, a raggiungere Stéphane al caffè che gestisce come faceva quando era una signora ammirata in tutta Parigi.
Se non tutto della memoria si può recuperare, come i rapporti con la comunità estone a Parigi da cui Frida è stata cacciata per il suo stile di vita scandaloso e irriverente, c’è sempre un modo per trovare un compromesso tra il passato e il presente, e per costruire un futuro. Così, Anne rinuncia all’elegante tacco alto per il più pratico stivaletto che l’aveva portata a Parigi mentre passeggia in un’alba parigina consumando il suo primo cornetto caldo sotto la Tour Eiffel. Così, Frida impara ad accettare l’altro come un’esigenza e un amore che non sia passione.
Ispirandosi alla storia vera di sua madre, andata a lavorare a Parigi ormai cinquantenne, Ilmar Raag confeziona un film delicato e poetico sulla solitudine della vecchiaia, di chi ha perso qualcuno, di chi lavora lontano da casa. Jeanne Moreau, ottantacinque anni, interpreta magnificamente Frida muovendosi sul filo di un divismo arrogante e irriverente, con una forte carica di ironia che va oltre il personaggio e si incrocia con la sua carriera («Non sono mai andata al Louvre in vita mia, forse una volta, tanti anni fa» dice strizzando l’occhio alla celebre corsa di Jules e Jim).
Attraverso Jeanne Moreau, Raag rende omaggio a Parigi e a tutto il cinema francese, inserendosi in quell’ampio filone di registi stranieri che, da Casablanca a Midnight in Paris, passando per Bertolucci e Ioseliani, si sono confrontati con la Ville Lumière e il suo indiscusso fascino cinematografico.
(A Lady in Paris, di Ilmar Raag, 2012, commedia drammatica, 94’)