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“I Postclassici” ai Fori Imperiali

di Chiara Tosti Croce / 29 giugno

Per la prima volta, fino al 29 settembre, l’arte contemporanea entra negli spazi tra i più famosi dell’arte classica: i Fori Imperiali ospitano la mostra I Postclassici, 16 artisti italiani contemporanei chiamati dal curatore Vincenzo Trione a produrre o proporre un’opera che meglio esprima il loro rapporto con il concetto di classico e dell’arte classica.

È vero che per i romani, nativi o adottati, spesso i Fori sono un luogo da evitare, una foresta proibita, una Notturn Alley, per chi ha letto Harry Potter, o una terra di Mordor, per chi ha letto Il Signore degli Anelli, insomma un luogo in cui è consigliabile non andare per il bene della propria incolumità e serenità, e in effetti, essere catapultati in un universo di Birkenstock con calzini annessi, dove una bottiglietta d’acqua arriva a costare anche 7 euro non è proprio ciò che si possa dire piacevole, eppure, dedicare una giornata alla visita di uno dei più importanti siti archeologici, ora che è anche arricchito da opere di grandi artisti contemporanei, è sicuramente un’esperienza che vale la pena affrontare, ed è ciò che ha fatto la sottoscritta, in un afoso venerdì mattina, anche senza un «anello per domarli».

Le opere in mostra sono collocatein sei specifici spazi dell’immensa superficie dei Fori: lo Stadio Palatino – o Ippodromo – dove sono esposte le opere di Kounellis, del collettivo Alis Filliol, di Andrea Aquilanti, di Francesco Barocco, di Gregorio Botta, di Nino Longobardi e di Claudio Parmiggiani, il Museo Palatino, dove sono esposte le fotografie di Mimmo Jodice, la Vigna Barberini, con l’installazione di Roberto Pietrosanti, il Criptoportico Neroniano, che ospita la serie “Ruined Ruins” di Gianluigi Colin, il Tempio di Venere a Roma, con le opere di Paladino, Pistoletto, Vanessa Beecroft e Claudio Parmiggiani, e infine il Tempio di Romolo, in cui è esposta l’installazione di Giulio Paolini.

C’è da dire che nonostante la scelta di concentrare le opere in questi specifici luoghi il percorso rimane comunque criptico e un po’ dispersivo, soprattutto per la mancanza di segnaletica e l’assenza di una mappa che indichi esattamente l’ubicazione delle opere.

Lo Stadio Palatino, anche per le sue dimensioni, è lo spazio in cui si concentra il maggior numero delle opere: qui è esposta “Senza l’antica prospettiva” l’opera che Jainis Kounellis ha creato espressamente per la mostra, un rettangolo formato da rovine presenti nello stesso stadio disposte dall’artista in modo da rappresentare un temenos, come lo definisce Kounellis stesso, uno spazio “ritagliato” (temnos in greco significa tagliare) in cui è rappresentato il significato contemporaneo che l’artista attribuisce all’antico, un concetto che ha perso il significato sacro che aveva poiché attraverso la sua espressione fisica, la rovina, è divenuto parte della tragicità dell’uomo in quanto testimonianza della universale transitorietà. Oltre all’opera di Kounellis, le opere che maggiormente catturano l’attenzione sono quelle poste al centro dello stadio, soprattutto “Le combattenti” di Marisa Albanese, figure femminili composte e silenziose che richiamano il classico nel colore candido e negli elmi che indossano e che, per l’artista, attraverso le loro pose composte e raccolte, simboleggiano il contrasto più profondo che esiste tra l’antico e il contemporaneo, un’epoca caratterizzata da eccesso, ostentazione e frenesia. Sempre nello Stadio è posta una delle due opere in mostra di Claudio Parmiggiani, un artista che fin dagli esordi, negli anni ’70, ha sempre posto al centro della sua poetica la riflessione sull’antico legato alla caducità del tempo, un concetto espresso in entrambe le opere presenti in mostra. In quella all’interno dello Stadio, una testa reclinata gialla –colore che sostituisce l’oro e che richiama le statue più ricche dell’antichità, le statue crisoelefantine – bendata, adagiata su degli stracci e su un basamento con una farfalla, un simbolismo complesso che mira a indicare, come per Kounellis, l’inesorabile trascorrere del tempo con i suoi inevitabili cambiamenti che portano una statua considerata sacra a divenire rovina, una metafora della vita e del destino al quale non può fuggire nessuno, neanche gli dei.

 

 

Il luogo più evocativo di tutta la mostra è senza dubbio il Tempio di Venere: qui sono esposte le due opere più rappresentative dell’esposizione, l’arcinota “Venere degli Stracci”, di Pistoletto, nell’inedita e fascinosa cornice dell’abside del tempio, che sembra essere proprio il posto a cui era destinata da sempre, un dialogo naturale e meraviglioso di antico e contemporaneo in cui il bello canonico dell’arte classica, ormai ridotto a rovina, si unisce al più colorato e contrastante bello contemporaneo dando concretezza alla massima dello stesso artista circa la sacralità che «si produce nel senso della discendenza anziché dell’ascendenza». L’altra opera molto suggestiva sono i giganteschi scudi in ferro e terracotta di Mimmo Paladino, dalla collezione dello stesso artista, scudi giganteschi che respingono e allo stesso tempo vengono permeati da vari elementi e oggetti della società contemporanea come scarpe, numeri, ombrelli o fucili, dando vita all’immagine che ha l’artista della storia, un flusso continuo di avvenimenti, un susseguirsi di momenti legati, che solo apparentemente può essere diviso in epoche e tempi contrapposti.

 

 

Degna di nota è anche “Anamnesi”, la collezione di fotografie di Mimmo Jodice esposte tra la collezione di statue del Museo Palatino. Fotografie di opere d’arte classica riviste secondo il concetto che l’artista ha sviluppato di quest’arte, una bellezza atemporale che riesce a esprimersi anche quando la sua fisicità è scalfita dal tempo: le statue di Jodice sprigionano fascino e bellezza nonostante la luce e le ombre insistano sulle loro ferite.

La mostra è veramente notevole sia per l’idea di utilizzare i Fori come spazio espositivo che dia luogo a un dialogo tra arte classica e contemporanea, sia per come è stata realizzata, la selezione delle opere esposte, tranne poche eccezioni, poco valorizzate. Unica nota negativa è l’organizzazione e la logistica, l’assenza di segnaletica, ma soprattutto di una cartina, rendono poco agevole il percorso, la cosa migliore è quindi attrezzarsi prima: il mio consiglio è quello di stampare una cartina prima di recarsi al Foro, per evitare di impazzire nella ricerca o di rischiare di perdersi qualcosa.

 

I Postclassici, la ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana
Foro Romano – Palatino
23 maggio – 29 settembre 2013

Per ulteriori informazioni vistare il sito www.postclassici.it/