Libri
“Ombrello” di Will Self
di Anna Quatraro / 25 novembre
Will Self non crede che Ombrello (ISBN, 2013) sia un romanzo joyciano in senso stretto. Accennare al postmodernismo joyciano è un modo per aiutare i critici a comprendere Ombrello:una sfera di voci narrative accavallate, giocate con pazienza e lirismo, eros e citazioni musicali, senza rinunciare a esperimenti linguistici sulla possibilità di esprimere ciò che i personaggi pensano e non dicono e ciò che potrebbe dire di loro un ipotetico narratore.
Lo psichiatra Zack Busner, arrivato nel 1971 al Friern Hospital, manicomio alla periferia di Londra, ha in cura una paziente molto particolare, Audrey Death, nata nel 1890, affetta da encefalite letargica, persa secondo il medico in una follia densa e fluida. Grazie al L-DOPA, la paziente si risveglia e racconta di esser stata una giovane suffragetta nella Londra agli inizi del secolo: «Evoca nella mente di Audrey una visione della città in cui tutto è collegato da correnti di energia invisibile: i cavi telegrafici che fanno scorrere lettere e cifre, l’elettricità che sfreccia nei manicotti di guttaperca».Cosa sia reale e cosa sia ricordo è uno dei temi che muovono la narrazione: quando inizino i rapporti fra i personaggi è molto arbitrario e tentare di spiegare i raccordi emotivi di questo libro sarebbe violarne l’equilibrio. Busner raccoglie materiale su Audrey dando vita a una marea di ricordi, con lo sguardo vivo, commosso verso i suoi pazienti, un’eco che Self ha scelto dal classico della letteratura psichiatrica Risvegli di Oliver Sacks. Self si lascia prendere dall’idea di analizzare in maniera molto dettagliata i disturbi dei pazienti: li scuote dal profondo, li anima di parole e di visioni, intrecciando la claustrofobia del manicomio con la guerra in trincea di Stanley fino alla vecchiaia di Zack Busner in un libro-universo ben riuscito.
La limpida consapevolezza di Will Self di aver avuto problemi mentali non dovrebbe allontanare il lettore dal leggere ancor più a fondo questo romanzo, forse come un rovescio abbastanza palese della sofferenza dello scrittore, che spiega quanto Zack Busner sia il risultato di una serie di personaggi, influenzati dal dottor Benway, del Pasto nudo di William Burroughs, «un gerofante, un sommo sacerdote scismatico della religione della sanità mentale e del suo credo farmacologico» evolutosi fino a incorporare i tratti narrativi dei vari terapeuti che Will Self ha frequentato. Se nei suoi primi testi la figura dello psichiatra aveva un risvolto satirico, in Ombrello, Self è riuscito a confrontarsi con i pensieri più profondi del medico, penetrando nella sua vita interiore, rivoltando completamente la satira verso i medici dell’anima: «Ho trovato questo fatto molto commovente: finalmente ho fatto la conoscenza di una persona che frequentavo superficialmente da vent’anni».
Self cerca un intrattenimento che solleva i personaggi da vicissitudini che non hanno scelto e fa sorridere di un gioco più serio, i rapporti umani fra un padre e due figli, Stanley e Albert, con un finale struggente: le chiacchiere sulle delicate e amabili illusioni degli anni Settanta circondano l’ostinatezza del medico nel salvare la vecchia Audrey. Nello sguardo di Self c’è una sottile patina di intrattenimento, non senza una coriacea volontà di esprimere un vero tarlo che anima il personaggio di Busner che verso Audrey ha un rapporto di attaccamento quasi patologico finché non comprenderà che salvare la paziente sarebbe stata un’impresa impossibile con le conoscenze tecniche di cui disponeva in passato. E la sua morte diventa così un evento straordinariamente naturale.
Ombrello ha dentro di sé un atto di rivisitazione delle ossessioni che Will Self ha conosciuto e un urlo ventriloquo verso le angustie della mente umana, nei suoi recessi e proiezioni.
(Will Self, Ombrello, trad. di G. Cenciarelli, A. Lombardi Bom e D. Petruccioli, ISBN, 2013, pp. 368, euro 26,50)