Flanerí

Cinema

“Il capitale umano” di Paolo Virzì

di Francesco Vannutelli / 7 gennaio

Tecnicamente, in gergo finanziario, con “capitale umano” si intende la capacità di guadagno di ogni individuo visto come il valore attuale degli stipendi futuri al netto dei consumi futuri. Le assicurazioni sulla vita corrispondono un premio in denaro basato sulla stima di perdita, in termini di capitale umano, del defunto. Con un’estensione approssimativa, si può dire che con capitale umano si indica quanto vale economicamente una persona, quanta ricchezza potrebbe produrre negli anni. Qual è il valore della vita di un quarantenne cameriere di catering che tornando a casa nel freddo della notte provinciale lombarda finisce in un fosso colpito da un fuori strada? Il valore della vita cambia a seconda di chi sia a portarla via? È l’interrogativo, indiretto, su cui si fonda Il capitale umano, nuovo film di Paolo Virzì che per la prima volta si spinge verso nord e lontano dalla commedia per avventurarsi in un thriller sfumato di dramma finanziario.

Intorno all’incidente ruotano le vite di due famiglie, gli Ossola e i Bernaschi. Dino Ossola è un’immobiliarista che sogna di fare il grande salto in società. Sfrutta l’amicizia di sua figlia Serena con il compagno di scuola Massimiliano per entrare nel fondo di investimento, ad alto rischio e alta rendita, gestito dal padre del ragazzo, Giovanni Bernaschi, broker tra i più importanti della borsa milanese che gestisce solo capitali superiori al mezzo milione di euro. Per entrare in affari, Dino mente e si indebita senza pudore. Licenzia il personale, riduce l’attività alle spese minime e aspetta che Giovanni lo chiami ancora per giocare a tennis nel campo privato della sua villa che sovrasta il paese. Non sa che sua figlia ha lasciato da tempo Massimiliano, si illude di essere amico stimato dei Bernaschi, continuando a sognare una vita al di sopra della sua possibilità. È solo con le sue illusioni, come gli altri protagonisti, gli adolescenti schiacciati dall’attesa sociale dei genitori, la moglie di Giovanni, Carla, con il suo sogno di aprire un teatro per rilanciare la cultura e il suo stesso passato nel paese mentre galleggia senza scopo ogni giorno. Solo Roberta, la compagna di Dino, psicologa e incinta, sembra mantenere un equilibrio di intenzione e direzione.

Suddiviso in quattro capitoli – tre legati al punto di vista di singoli personaggi, Dino, Carla e Serena, l’ultimo di riepilogo e conclusione – Il capitale umano si muove su due piani temporali che si intrecciano, il primo estivo, nel momento del primo incontro tra Dino e Giovanni, il secondo invernale, dalla festa della scuola dei ragazzi da cui ha origine l’incidente fino alle successive indagini. È, sul piano tecnico, il miglior film di Paolo Virzì per la regia giunta alla piena consapevolezza di mezzi e invenzioni e per il considerevole lavoro di montaggio di Cecilia Zanuso. È, probabilmente, il miglior film in assoluto del regista toscano, perfetto equilibrio di tensione, indagine, indignazione sociale, dramma e momenti di commedia. Concorrono tutte le parti a fare di Il capitale umano un film da ricordare, a partire dalla sceneggiatura curata da Virzì con Francesco Bruno e Francesco Piccolo, sulla base del romanzo omonimo di Stephen Amidon, con un gran lavoro di adattamento nel trasferire la vicenda dal Connecticut alla Brianza. Ma sono soprattutto gli interpreti ad animare Il capitale umano, Fabrizio Bentivoglio come viscido e spregevole Ossola, Gifuni nei panni del brianzolo Bernaschi, Valeria Bruni Tedeschi a dare aristocratica fragilità a Carla, la solida Roberta di Valeria Golino, i giovani guidati dall’esordiente Matilde Gioli e gli attori nei ruoli di contorno, Luigi Lo Cascio, Gigio Alberti, Bebo Storti.

Accomunato più volte alla tradizione della commedia all’italiana, Virzì questa volta si rifa maggiormente al cinema statunitense ma continua a guardare all’Italia della crisi (economica, morale, come volete vederla) cambiando registro e punto di vista, non più dal basso dei call center di Tutta la vita davanti o della precarietà di Tutti i santi giorni, ma dall’alto del ceto della finanza, senza più nessuna punta di dolcezza nella sua osservazione, lasciando trasparire tutta l’amarezza di fronte agli uomini che hanno scommesso sulla rovina del paese e hanno vinto.

(Il capitale umano, di Paolo Virzì, 2013, thriller, 109’)