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Cinema

“The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese

di Iacopo Accinni / 17 gennaio

Un buon film. Non un capolavoro, a tratti discutibile, ma pur sempre un film di Martin Scorsese. Di The Wolf of Wall Street si parla da quando era ancora in lavorazione e ora sono arrivate cinque nomination, di quelle pesanti (miglior film, regia, attore protagonista per Di Caprio, non protagonista per Jonah Hill, sceneggiatura per Terence Winter), per i prossimi Academy Awards, gli Oscar che tante volte hanno snobbato Scorsese e il suo protagonista Leonardo Di Caprio. Il regista di capolavori indiscussi come Taxi Driver, Toro Scatenato e i recenti Shutter Island e Hugo Cabret torna con un film nudo e crudo, quasi un’opera di denuncia velata da un leggero senso di colpa e di impotenza che avvolge in primo luogo il semplice spettatore, ma rimane, poi, ancora di più sul cittadino comune che osserva inerte, dal molo, la nave andare sempre più alla deriva. È un film violento, eccessivo, e certo, perché parla di lusso, glamour e superficialità, tutto quello che ormai abbiamo costantemente sotto gli occhi. Il film si ispira alla autobiografia di Jordan Belfort (Leonardo Di Caprio), golden boy di Wall Street degli anni Ottanta e Novanta, che ha acquisito la propria fortuna facendo buon viso a cattivo gioco con la speculazione finanziaria, con l’utilizzo smodato e illegale del glorificato denaro come pane quotidiano. Sesso, droga e menefreghismo per un cocktail esplosivo, vera e unica apologia della deriva capitalistica.

La borsa di New York è solo il pretesto per dipingere il quadro desolante e disarmante di una società opulenta ormai ridotta alle macerie. Un mondo, quello finanziario – ma non solo, perché si parla anche anche di usi, costumi, credo e speranze – lasciato cadere a pezzi dinnanzi agli effetti devastanti della mondializzazione. E così c’è chi rimane intossicato dai soldi e dal potere che ne deriva, chi dal sesso e dalla droga che sono la cornice di una quotidianità che non ha punto di arrivo.

The Wolf of Wall Street è uno specchio realistico del tunnel sociale che la nostra epoca sta attraversando. Piccante e frizzante, vivace e sprezzante, il nuovo film di Martin Scorsese emerge come una commedia amara che trova nel comico la sua vera essenza tragica.

Scorsese e Di Caprio, dopo Gangs of New York, The Aviator, The Departed e Shutter Island, si confermano, qualora fosse stato necessario, grande coppia del cinema contemporaneo. Una certezza dall’aria forte e coraggiosa sul set, sempre al passo con i tempi e con le idee che cambiano con troppa facilità.

Il Belfort del sempre ottimo Di Caprio è l’emblema della perdizione e dello smarrimento sociale. Le truffe e la sua decadenza sono i pilastri di una vita all’insegna dell’edonismo più sfrenato che al di fuori di Wall Street non vale la pena essere vissuta. La disillusione del denaro che tutto può e che dal 1929 continua a riprodurre i suoi effetti devastanti e deleteri. Un mondo fittizio e marcio con cui l’essere umano in quanto tale niente ha a che fare.

The Wolf of Wall Street esalta gli eccessi infilando quasi tre ore di scene orgiastiche, di sesso e di droga, turpiloquio senza freni, vero linguaggio portante che accompagna lo scorrere irrefrenabile del denaro. Wall Street sembra un parco giochi, ludico e perverso, accessibile a pochi, devastante per i molti. Per Martin Scorsese il paese dei balocchi esiste. E fa male.

(The Wolf of Wall Street, di Martin Scorsese, 2013, drammatico, 179’)