Varia
“La bisbetica domata”, regia di Andrej Konchalovskij
di Francesco Casillo / 25 febbraio
L’innegabile merito della “bisbetica” diretta da Andrej Konchalovskij è quello di trasportare lo spettatore, dal momento in cui si apre il sipario, in una dimensione surreale, approssimativamente in una Padova degli anni ’20, tra proiezioni delle architetture di De Chirico, occhiali e baffi finti di Groucho Marx, passando dai costumi che spaziano dal fez e stivali di memoria fascista, a cappelli a tuba e frac, fino agli abiti da giullare con i quali Petruccio prende in sposa Caterina.
La storia è nota a tutti, Battista Minola, ricco mercante di Padova, ha due figlie: l’indemoniata Caterina, che affetta i suoi pretendenti con una lingua tagliente come una spada, e la civettuola Bianca, tanto piena di pretendenti quanto volatile nel concedere le grazie.
Da qui “l’immortale bardo” intreccia le sue trame, con Battista che pone il veto di dare in sposa Bianca (con dote annessa) fintanto Caterina (l’ottima Mascia Musy) non trovi l’amore; con Lucenzio (il brillante Flavio Furno) figlio di un ricco mercante di Pisa che si innamora anch’esso di Bianca, e per spacciarsi per il suo tutore cede la sua identità al servo Tranio; con Petruccio (un esuberante Federico Vanni), a corto di fortune, che prende in nozze (la dote di) Caterina con relativo caratteraccio; e con la pletora di spasimanti di Bianca che con mezzi, mezzucci, offerte in denaro e le sopracitate vesti di tutori marxiani, dovranno alla fine arrendersi di fronte all’astuzia di Lucenzio.
La fusione surreale tra scenografia e recitazione raggiunge forse il punto più alto nell’incontro tra Caterina, Petruccio e il padre di Lucenzio (Vincenzo), quando, un’enorme luna (Fritz Lang non avrebbe potuto immaginarla meglio) rende ancor più surreale il gioco con cui Petruccio ammaestra Caterina in cui la Luna diventa Sole, il vecchio Vincenzo diventa una giovane fanciulla, e alla fine Caterina, vinta da una follia più grande della sua, diventa moglie devota.
Se quanto scritto finora vi è sembrato caotico è solo per sottolineare l’unico neo di questa trasposizione, frutto della collaborazione di tre teatri stabili: quelli di Genova, Napoli e Prato.
In questa cornice surreale i dialoghi di Shakespeare sembrano perdere di forza, i tempi imposti sembrano soffocare il ritmo delle battute che a volte arrivano troppo repentine o accavallate per coglierne appieno il senso, risate che restano accennate e i fili della trama che si perdono di vista per chi non conosce il testo originale.
La stessa morale dell’opera sembra smarrirsi nel monologo finale di Caterina, dove non si comprende se abbia vinto l’amore o il metodo pavloviano, se sia la follia ad aver ceduto alla devozione o se la devozione sia una nuova follia che abbia assalito Caterina.
Ironicamente si può dire che la vera “bisbetica” sia proprio la chiave di lettura di quest’opera che, come Caterina, pur non mancando di fascino non sembra essere del tutto “domata” al servizio dello spettatore.
La bisbetica domata di William Shakespeare
versione italiana di Masolino D’Amico
regia Andrej Konchalovskij
con Mascia Musy, Federico Vanni, Roberto Alinghieri, Peppe Bisogno, Adriano Braidotti, Vittorio Ciorcalo, Carlo Di Maio, Flavio Furno, Selene Gandini, Antonio Gargiulo, Francesco Migliaccio, Giuseppe Rispoli, Roberto Serpi, Cecilia Vecchio
Roma, Teatro Argentina, dal 11 febbraio al 2 marzo 2014